27 Maggio 2020

di Stefano Greco

Per gentile concessione di sslaziofans.it

Durante il lockout, ne ha combinata un’altra delle sue, perché Gazza lontano dai guai non riesce proprio a starci. Ha violato la quarantena per andare a fare baldoria in un pub improvvistato a casa di un amico con altri compagni di bevute e, non contento della bravata, si è fatto riprendere ubriaco con i calici alzati e le immagini di quel video, chiaramente, in un amen ha fatto subito il giro del mondo. La bravata, gli è costata la rottura del rapporto con la fidanzata, la biondissima Wendy Leech, che stava in quarantena con Gazza a Bridlington, nell’East Yorkshire.

Questo 53simo compleanno, quindi, Paul Gascoigne lo passa nuovamente da solo. Questa è l’ennesima triste parabola discendente di un fuoriclasse del calcio che lontano dai campi di gioco si è spesso e volentieri perso nella sua folle corsa sulle montagne russe della vita. Un peccato, perché quando sta in campo Paul Gascoigne è un altro. Basta ripensare al suo volto sorridente, con gli occhi che brillavano, al suo ingresso in campo il giorno dell’inaugurazione del nuovo White Hart Lane: emozionato e acclamato dai 60.000 che affollavano la nuova casa del Tottenham. Sembrava un piccolo miracolo ripensando a marzo 2016, quando dall’Inghilterra ci erano arrivate addosso come pietre quelle foto di Gascoigne quasi nudo, con il corpo scheletrico coperto solo da una pelliccia e il volto da settantenne. In quel momento, tutti abbiamo temuto che la fine fosse vicina, che Gazza avesse imboccato quel tunnel buio che ha come unica uscita la porta che conduce alla morte. Quello stesso tunnel che aveva imboccato molti anni prima George Best, un altro dei campioni maledetti del calcio britannico. Tutti abbiamo pensato e temuto che Paul non sarebbe riuscito a tagliare il traguardo dei 50 anni che oramai era dietro l’angolo, invece, grazie all’aiuto di Gary Mabbutt, Paul Lineker e tanti altri amici del mondo dello sport e dello spettacolo che non lo hanno mai abbandonato, Gazza non solo è riuscito a tagliare quel traguardo, ma oggi spegne 53 candeline, quasi resuscitato dell’ennesima cura disintossicante a cui si è sottoposto nel suo rifugio di Bournemouth dopo aver mantenuto fede (una volta tanto) alla promessa fatta due anni fa a se stesso e ai suoi figli. Non tornare nel baratro.

“Non farò la fine di George Best: lui è morto, io no. Io non sono come lui, io non voglio arrendermi.

Dopo aver toccato il fondo nel 2016 Gazza non si è arreso, ha lottato per l’ennesima volta contro quei demoni che lo tormentano fin da ragazzino e che, tragedia dopo tragedia, sono diventati i suoi compagni di viaggio. Non ha avuto una vita facile Paul Gascoigne, perché fin da ragazzo ha viaggiato a braccetto con la morte. Una tragedia dietro l’altra, a partire dalla morte di Steven Spraggon, il fratello più piccolo di Keith Spraggon, amico d’infanzia e compagno di squadra di Gazza.

Gazza, Keith e altri ragazzini passano le loro giornate per strada, giocando a pallone, e ogni tanto fanno capolino all’interno del negozio che vende dolci, dove prendono in giro la proprietaria e la distraggono per rubare caramelle e qualche bibita. Gazza, Keith e altri ragazzini passano le loro giornate per strada, giocando a pallone, e ogni tanto fanno capolino all’interno del negozio che vende dolci, dove prendono in giro la proprietaria e la distraggono per rubare caramelle e qualche bibita.

Un giorno, quando Paul ha dieci anni, Steven Spraggon, che ne ha solo otto ed è il fratello minore di Keith, insiste per andare in strada a giocare con loro. Il fratello non vuole, la madre neanche, ma Gazza con il suo sorriso la convince, garantendo che si sarebbe occupato personalmente di badare al piccolo Steven. Mentre Paul e Keith sono all’interno del negozio di dolci, Steven si allontana e attraversa di corsa la strada, senza accorgersi che proprio in quel momento sta passando un camioncino dei gelati a velocità sostenuta: l’uomo alla guida non fa neanche a tempo a frenare e colpisce in pieno Keith che vola per 30 metri, sbalzato a più di 2 metri d’altezza, per poi ricadere pesantemente sull’asfalto. Paul vede tutta la scena, corre, s’inginocchia, vede le labbra di Steven che si muovono e gli urla: “Andiamo Steven, tutto bene? Va tutto bene?”. Il piccolo Spraggon muove nuovamente le labbra e quello è l’ultimo sussulto di vita, poi muore tra le braccia di Gazza che urla inutilmente “help, help”, mentre si gira e vede Maureen, la mamma di Kieth e Steven, che corre verso di lui. È il primo contatto tra Paul e la morte, la prima di una lunga serie di tragedie che gli segnano la vita.

“Steven stava fermo, immobile, come un bambolotto abbandonato. Era il primo corpo morto che vedevo e sentivo che era colpa mia, che io ero responsabile di quello che era successo. Avevo promesso, avevo garantito alla madre che avrei badato a lui, ma non l’ho fatto”.

Dopo quella tragedia, Gazza inizia a balbettare, ad avere incubi, non riesce più a dormire senza la luce accesa e finisce da uno psicologo che non riesce ad individuare la vera causa di quei disturbi e che sarà diagnostica solo molti anni dopo. Gazza è affetto da schizofrenia psicotica. Paul sente le voci, ha degli stati d’ansia e una tendenza a farsi del male. I medici non sono mai riusciti a stabilire con certezza se si tratta di qualcosa di ereditario, oppure se a scatenare tutto sia stato uno dei traumi giovanili che ha subito, o la somma di questi traumi. O solo l’uso e l’abuso di alcol fin da ragazzo. Già, l’alcool e le cattive amicizie. Questi sono stati da sempre i due grandi problemi di Paul Gascoigne.

Tra le tante persone che mi hanno parlato di Gazza e che mi hanno aiutato a ricostruire la sua storia quando ho deciso di scrivere IO&PAUL, Gigi Casiraghi è stato uno di quelli che più che raccontare aneddoti o scherzi si è soffermato sull’uomo, soprattutto, sulla sua cerchia di amici, su quelle che secondo lui sono state le vere cause della discesa di Gazza fino alle porte dell’inferno.

“Di Paul parlo sempre volentieri, perché la prima cosa che mi viene in mente quando penso a lui e al periodo che abbiamo vissuto insieme alla Lazio è: Gazza è un buono, una persona buona e limpida come poche se ne incontrano nella vita. È completamente pazzo, è vero, ma è un ragazzo di buoni principi che ha solo avuto la sfortuna di avere avuto fin dall’infanzia mille problemi. Basta vedere la sua famiglia per capire il perché. E non è solo perché proviene dalla working class, ma anche perché è cresciuto in un ambiente in cui restare sobri è una chimera, praticamente impossibile. In Inghilterra l’alcol è una piaga sociale. Quando ho giocato al Chelsea ho potuto toccare con mano il problema, che non coinvolge solo i tifosi, ma anche i manager e i calciatori. Paul non è stato risparmiato, ma ti assicuro che non ha mai avuto la benché minima possibilità di scamparla. Pensa che una sera siamo stati a cena insieme con la sua famiglia e Gazza, probabilmente, è stato quello che ha bevuto di meno. Quindi immagina gli altri. Le persone che gli stanno intorno l’hanno rovinato. È vero che nella vita le scegli tu le persone di cui ti circondi, ma per lui è stata una scelta obbligata, perché non ha deciso lui di nascere in quella famiglia e Jimmy ‘Cinque Pance’ e gli altri sono i suoi amici d’infanzia, le persone con cui è cresciuto fin da bambino. E Paul non è certo l’unico giocatore che si è contornato di persone che non pensano al bene dell’amico atleta come cosa primaria. Perché tanti calciatori hanno intorno delle vere e proprie sanguisughe che gli succhiano anche l’anima e che ci sono solo fino a quando va tutto bene. Poi spariscono. E a quel punto restano solo gli amici veri, che sono quasi sempre degli ex compagni di squadra ma che, come è successo con Paul Gascoigne, arrivano spesso quando oramai è troppo tardi”.

Ha ragione Gigi, le persone di cui circondarti le scegli tu, ma è il destino a decidere il luogo dove nasci, la famiglia e tutto il resto. E se nasci a Gateshead, le poche certezze che hai nella vita sono rappresentate dal bancone del pub, dalla birra e dagli amici su cui puoi sempre contare quando vuoi sbronzarti. Perché Gateshead, la città del Tyne and Wear che forma insieme a Newcastle quella tenaglia urbana chiamata Tynside, uno spicchio di sud del mondo nel profondo nord, non offre molto di più a chi ha la sfortuna di nascere da quelle parti. Gateshead è quasi un paradosso geografico e socio-economico. È il cuore caldo di quell’Inghilterra un po’ brutale e abbruttita dalla crisi economica, di quei personaggi sporchi e cattivi alla David Copperfield di Dickens, ma senza lieto fine; di gente che passa le giornate guardando le acque scure del Tyne e domandandosi se è il cielo grigio a specchiarsi nel grigio del fiume o viceversa.

A rovinare Gascoigne sono stati la famiglia in cui è nato e gli amici d’infanzia, JFB in testa. JFB è Jimmy “Five Bellies” Gardner, Jimmi cinque pance, l’amico d’infanzia ma anche il perfetto custode dei segreti di Gazza e il guardiano a cui si affidarsi per tenere lontani i propri demoni. La storia del rapporto tra JFB e Paul Gascoigne è come la scatola di un puzzle in cui sono contenuti tutti i pezzi di un quadro, dell’immagine di un’amicizia che è soprattutto una sorta di sodalizio alcolico, di un’immensa e infinita sbornia destinata a durare fino a quando quella pinta, che rappresenta la linfa della vita, non si svuota del tutto. E a quel punto il boccale viene poggiato al rovescio sul bancone, a simboleggiare la fine della festa. E per far comprendere bene quanto questo sodalizio alcolico non sia stato di nessun aiuto a Gascoigne, forse basta questa frase che ha pronunciato dopo una delle tante cadute che stanno caratterizzando questa ultima parte della sua vita.

“Quando bevo, non sono né Paul né Gazza, né Paul Gascoigne… Sono solo e basta”.

In questi ultimi anni, a quanto pare Gazza è riuscito a trovare un punto d’equilibrio, a convivere con la solitudine e con i suoi demoni. Ed è stato il primo passo per uscire dal tunnel. Un anno fa è apparso in televisione, sorridente, tirato a lucido come non si vedeva da anni e ha confessato che il 2016 è stato uno degli anni peggiori della sua vita. Non solo a causa dei suoi problemi con l’alcool ma, soprattutto, a causa della tragica fine di suo nipote Jay Kerrigan, morto per overdose a soli 22 anni.

Prima della sua morte mi sembrava di aver intrapreso la strada giusta – ha detto durante lo show Good Morning Britain – ma questa notizia mi ha riportato a bere. Quando hai l’ossessione dell’alcool pensi che un bicchiere, e poi un altro, ti possano aiutare a risolvere i problemi. Poi, all’improvviso, ecco il blackout. Ma ora voglio dimostrare al mondo di essere cambiato.

L’augurio è che finalmente gli sforzi di Gary Mabbutt e degli amici di Gascoigne possano essere premiati, che Gazza possa restare lucido come lo abbiamo visto un anno fa quando ha indossato nuovamente la maglia del Tottenham per l’inaugurazione del nuovo White Hart Lane. O come lo abbiamo visto nel film in cui ha raccontato la sua vita. Perché ogni volta che da qualche parte del mondo arriva la notizia che l’equilibrista della vita è caduto un’altra volta da quel filo sempre più sottile che lo tiene sospeso tra la vita e la morte, in ogni laziale si riapre la ferita. Perché per quelli della mia generazione Gazza è Gazza. Per chi tifa Lazio è il simbolo della rinascita di questo club, anzi della nascita di una Lazio diversa da quella che negli anni Ottanta per quasi due lustri ha lottato tra la vita e la morte sportiva, in un continuo saliscendi tra la Serie A e la Serie B: cadendo e risalendo dal filo, proprio come lui. Gascoigne è stato il primo grande campione dell’era Cragnotti, il primo dopo Giorgio Chinaglia che ha portato il nome Lazio in giro per il mondo. E allora, da lontano, non ci resta che sperare che quel filo non si spezzi, che anche queste recenti cadute siano solo un episodio e non l’ingresso in un tunnel senza uscita.

“Qualunque cosa faccia nella vita, deve essere divertente: se non lo è vuol dire che ho fallito”ha detto una volta Gascoigne. Quindi, auguri Gazza e divertiti! Con la speranza che per te ci sia ancora tanta sabbia in quella clessidra in cui il destino ha racchiuso la durata della nostra esistenza. Ma anche con l’augurio che quelle parole pronunciate qualche anno fa da Gascoigne che suonavano come una confessione o come una sorta di testamento, ora facciano parte solo di un passato spazzato via o quantomeno chiuso a chiave dentro un cassetto.

“Non ho chiesto io di essere un alcolizzato, ma sfortunatamente lo sono. E a causa dell’alcolismo ho rischiato di morire almeno venti volte negli ultimi diciotto anni. La mia dipendenza dall’alcol non è legata al  desiderio di bere, è più un’ossessione che una necessità. Dopo l’ultimo ricovero sapevo di essere in difficoltà e ho cercato subito di frenarmi. Mi stavo disintossicando a casa mia, poi a un tratto mi sono sentito ferito da alcune persone e ho deciso di ricominciare a bere: so che non è la cosa giusta da fare, ma non riesco a fermarmi”.

God bless you Gazza, and… HAPPY BIRTHDAY!

 

FONTE  SSLAZIOFANS.IT MILLENOVECENTO