ROMA – Lo spirito dei tempi. Diventa più importante la polemica tra il Ministro dell’Interno Salvini e il magistrato Spataro della notizia che ne ha provocato il diverbio. Il vero colpo dell’ordine pubblico risulta perciò confinato a pagina 22 del più importante quotidiano nazionale. Con l’arresto dell’80enne Settimo Mineo, considerato l’erede di Riina, i Carabinieri hanno messo a segno un gran colpo che segue ad altri infiniti e dettagliati blitz che stanno, piano piano, sterminando le radici della mafia siciliana, la famigerata Cosa Nostra. Ma rimane tabù dietro le quinte, a piede libero, il più pericoloso dei suoi rappresentanti. Si tratta di una partita che lo Stato non riesce a vincere, grazie alla rete di protezione e di fitta omertà, che difende la latitanza di Matteo Messina Denaro e gli permette di speculare su traffici che non sono stati ancora stroncati. Basti pensare all’arresto di uno dei suoi emissari col colletto bianco, tale Nicastri, sconosciuto ai più. Il suo arresto fu seguito da un sequestro da 1,2 miliardi. Il che fa desumere la portata del business del boss. In questo caso l’affare era legato alle pale eoliche. Ma nessun settore speculativo è precluso nel giardinetto della “sua” mafia: droga, contraffazione, riciclaggio. Finché lo Stato non avrà abbattuto questo totem, rappresentativo di una mentalità che oltre che di una regione, la battaglia sarà ancora più che mai incerta. Denaro è Tabù ma gli arresti (a suo tempo) di Riina, di Provenzano e, ora, di Mineo, lasciano aperta la porta alla speranza di un riscatto e di una palingenesi. Di una nazione (l’Italia), di una regione (la Sicilia), di una provincia (il trapanese). Tutto questo mentre, la boriosamente e burocraticamente, la Commissione Antimafia, presieduta dal grillino Morra, deve convocare la sua prima riunione dopo la gestione di Rosi Bindi. Non del tutto certa di non aver incamerato al proprio interno qualche politico sospetto e di dubbia fama anti-mafia.  

DANIELE POTO