Non c’è dibattito pubblico che non tocchi il tema delle sardine. Inteso chiaramente
non nel senso del pesce azzurro, così salutare per l’alimentazione. Un fil rouge
sotterraneo di consenso scorre in tutte le città italiane. La particolarità di queste
manifestazioni di dissenso giovanile l’ha già certificata Salvini, il principale bersaglio
della contestazione. La protesta curiosamente non si rivolge contro il governo ma
contro un’opposizione che nei sondaggi continua a riscuotere un corposo 30% di
consensi. Le sardine dunque se la prendono con pancia del Paese, contro un italiano
su tre che coltiva una deriva sospettata di razzismo e di sovranismo. Addirittura un
ulteriore sondaggio attribuisce a questo movimento un potenziale 15% su base
elettorale, come dire più o meno la percentuale su cui attualmente galleggiano il Pd
e i Cinque Stelle. La rappresentazione sta a significare che c’è una fetta d’Italia che
non si riconosce più negli attuali moduli della democrazia parlamentare, una società
civile che esce dai ranghi e si fa essa stessa politica e garante della voglia di diversi
equilibrio. La domanda d’uopo è: quanto dureranno le sardine? Ci si ricorda più del
Popolo Viola e delle infinite e quasi calcolabili quanto deperibili scie di dissenso
manifestatesi nel corso degli anni? I promotori sapranno mantenere quel preciso
distinguo dai partiti politici che finora hanno caratterizzato lo stile dell’iniziativa? Il
tempo provvederà a questa risposta. Con soddisfazione si può notare che la società
italiana è comunque percorsa da un laborioso fermento prodromico di qualche
possibile cambiamento. L’immobilismo del Paese, dell’economia, della burocrazia,
sono piaghe che ci trasciniamo da tempo e che avrebbero bisogno di qualche sano
antidoto. Comprese le sardine? Intanto ci si augura che l’etichetta del pacifismo e
della non violenza sia sempre alla base nei consessi programmati e programmabili.
Un minimo comune denominatore da cui non si può prescindere.

DANIELE POTO