di CRISTIANO SACCHI 

E’ difficile definire il genere musicale di Van Morrison: blues, folk, jazz, avanguardia, blues-rock ? Non è poi così importante, perché lui piace a tutti, a chi ascolta jazz o metal. Van Morrison è un genio, e questo disco lo dimostra, ne è la testimonianza. Dopo la doppietta Astral Week/ Moondance, Morrison riesce a discostarsi dai precedenti lavori, non abbassando, però, mai la qualità della sua musica, anzi a differenza dei precedenti lavori, paradossalmente questo è un disco solare, disimpegnato e meno ambizioso dei precedenti, ma il suo impatto è pari se non superiore. His Band And The Street Choir è il suo quarto album, e la sua genesi è molto singolare. Tutto inizia in una chiesa abbandonata nei pressi di Woodstock. L’amico e batterista Dahaud Shaar ricorda la scoperta di quel luogo: “Ho visto questa chiesa abbandonata e ci siamo detti: perché non suonare lì dentro? Van sembrava entusiasta all’idea, e in breve, con un paio di microfoni e l’attrezzatura indispensabile, ci siamo stabiliti lì per suonare”. Ne uscirà un demo, che qualche mese dopo Morrison deciderà di portare in una sala di registrazione della A&R Recording. Tra maggio e giugno 1970, raduna nello studio un vero e proprio complesso di voci, tutti provenienti dall’area attorno Woodstock. “The Street Choir”, questo è il nome di battesimo della formazione. Sei dei brani del disco provengono da questa sessione, mentre gli altri sei provengono da una seconda sessione resa necessaria tra giugno e agosto, in quanto Morrison decide di cambiare direzione e di incidere nuovamente tutte le canzoni. Van in questo disco esce allo scoperto e si palesa senza veli, sembra di essere in studio con lui, di averlo vicino in carne e ossa, con tutti i suoi dubbi e speranze. L’accoglienza della critica è calorosa, l’album raggiunge la 32esima posizione della Billboard 200 e il diciottesimo posto nella UK Albums Chart. L’album si apre con il singolo Domino, esempio di come Van Morrison sappia creare melodie orecchiabili mai banali, con arrangiamenti di fiati che richiamo le grandi big band jazz e Motown, si prosegue con Crazy Free dall’andatura slow blues dove la sua voce “dondola” quasi senza tempo, appunto “free”, nel tessuto sonoro. Give Me A Kiss è un rock’n’roll giocherellone con un ottimo giro di piano, impreziosito da cori dal sapore doop woop anni ’50. I’ve Been Working, è un rock-soul, che potrebbe essere tranquillamente attribuito ai Creedence Clearwater Revival: brano muscolare ed energico per tutta la sua durata. Call Me Up In Dreamland è forse il brano che più si avvicina alle sue precedenti produzioni, mentre I’ll Be Your Lover, Too chiude il lato A mostrando il suo lato più sensibile e poetico. Il lato B, si apre con un grazioso giro rock-blues Blue Money, che serve subito a dare la carica, mentre Virgo Clowns presenta venature più country-folk che funge da ponte per la bellissima Gipsy Queen, una splendida ninna nanna cantata alla Marvin Gaye. Sweet Jannie è blues allo stato puro, mentre If I Ever Needed Someone, se nel titolo stizzo l’occhio ai Beatles, la sonorità si avvicina al periodo Woodstock di Joe Cocker. Street Choir chiude l’album con un pizzico di veleno, attaccando il mondo dell’industria discografica. “Quando entro in studio, sono come un mago: qualcosa succede sempre”. (Van Morrison)