di  CRISTIANO SACCHI 

The Turning Point è considerato il suo capolavoro. E’ uno degli album blues più avvincenti e creativi di ogni epoca, con molte contaminazioni jazz e folk, perché in grado di evocare i grandi maestri neri a lui cari. Questo disco arriva in un momento particolare per l’autore: “Bare Wires” aveva venduto meglio di qualsiasi altro suo album, mentre “Blues From Laurel Canyon” registrò un forte calo. Mayall, allora, vuole fare tabula rasa e reinventarsi: vuole disfare i Bluesbreakers per spingersi oltre con la sua musica. E per fare un passo avanti spesso si comincia col farne uno indietro: staccare la spina, suonare con strumenti acustici senza la presenza di chitarre elettriche pesanti, ed ancora più clamoroso, rinuncia alla batteria. Quello che va in scena al Fillmore East di New York è praticamente un unplugged vent’anni prima di MTV. Fondere blues, folk e jazz, è il nuovo orizzonte di Mayall, trovare nuove combinazioni tra gli strumenti per supplire con fantasia all’assenza delle percussioni e della chitarra solista. Certo, bisogna vincere lo scetticismo degli addetti ai lavori, ma John non ha dubbi che la sua idea sia quella giusta. Registrato dal vivo al Fillmore East di New York, The Turning Point, è composto da sette brani inediti e mantiene soltanto il bassista Steve Thompson della precedente formazione. Due nuovi ingressi sono invece, Jon Mark alla chitarra acustica e Johnny Almond a sassofoni e flauto. L’album non è però acustico come viene spesso spacciato: la chitarra di Mayall è elettrica, così come il basso, ma gli strumenti vengono amplificati con un impianto rudimentale, facendo in modo, quindi, che la chitarra acustica sia sullo stesso piano di importanza di tutti gli altri strumenti. Il lato A si apre con The Laws Must Change, brano all’insegna di un ritmo jazz incalzante, dove Mayall e Almond soffiano nell’armonica e nel flauto lanciando delle vere e proprie fiamme nei loro strumenti. Saw Mill Gulch Road è il secondo brano: uno slow shuffle nello stile più puro del Delta blues, con una chitarra slide che fa da contrappunto alla voce, I’m Gonna Fight For You J.B. con il suo pizzicato ed il suo stile vocale, sembra rendere omaggio a Robert Johnson, mentre So Hard To Share compie un balzo temporale di decenni arrivando ad anticipare la jazz/fusion di inizio anni ’80. Il lato B si apre con California, dove il basso di Thompson, in assenza della batteria, spesso deve fare la voce grossa per far girare e rendere fluidi i brani, e questo ne è un esempio importante. Thoughts About Roxanne, parte come un blues sentimentale per poi diventare una cavalcata boogie. Room To Move chiude il disco: uno stomp indemoniato per voce e armonica dove Mayall mostra tutto il suo talento. 

La scommessa è vinta, John Mayall si dimostra ancora una volta un vero numero uno del blues. E’ il blues che nelle sue mani si reinventa ogni volta daccapo, anzi si confronta con stili e generi diversi, senza mai perdere il suo significato. “E’ tempo che il blues prenda una nuova direzione.” (John Mayall) E per prendere nuove direzioni, si deve per forza tornare indietro li dove tutto è partito.