di DANIELE POTO

Il calcio italiano offre l’ennesima confusa prova di scompostezza di fronte ad
un’emergenza virus che richiederebbe lucidità e unità d’intenti. Impotente il Coni
che è come un vigile che vede passare automobilisti con il rosso e scopre di non aver
alcun potere d’intercetto. Di fatto il football nostrano è stata l’unica disciplina
nazionale che seppure a porte chiuse (ma verrebbe da dire socchiuse) constatando
l’ampio numero di addetti ai lavori in qualche match (nel caso più eclatante 500
accreditati) ha continuato l’attività in omaggio al valore professionistico dei propri
campionati. Ma non c’è dubbio che ci sia dell’evidente professionismo anche nel
basket e nel volley che si sono invece più o meno pacificamente rimessi al diktat
governativo, nel primo caso con l’evidente beneplacito dei giocatori americani, quasi
pronti a una sollevazione/sciopero pur di non giocare. Una pura boutade la proposta
del Ministro dello Sport Spadafora di offrire la visione in chiaro e in differita di
Juventus-Inter. I diritti consacrati della televisione a pagamento non si sono toccati e
la quasi eversiva mozione è stata subito rimessa nel cassetto. Cosa rimane di questo
strappo del calcio? In fondo tanto squallore per un mondo che non si è conformato
all’emergenza della vita straordinaria e particolare di questi giorni. The show must
goes on è un adagio che calza perfettamente a quanto deciso in questo week end. E
a cosa servirà aver disputato una giornata in più in un Paese che cavalcherà
provvedimenti restrittivi almeno fino al prossimo 3 aprile? In questo momento
anche il tifo può essere messo in lista d’attesa. E il duello Juventus-Lazio può essere
considerato un lusso visto che il numero delle morti da virus sta crescendo con esiti
esponenziali. La solidarietà richiesta è venuta parzialmente dal mondo dello sport
ma è stata sicuramente negata dal calcio.