di DANIELE POTO

 

Il calcio italiano, strapieno di debiti, chiede di tornare allo statu quo, chiedendo di rinnegare uno dei pochi fiore all’occhiello della legislatura, contenuto nel Decreto dignità ovvero il divieto di pubblicità dell’azzardo. Una proibizione aggirata oggi in mille modi. Ad esempio con la creazione di siti, molto pubblicizzati, che rimandano ai broker dell’azzardo. Pubblicità mediata, indiretta ma pur sempre pubblicità. Come quella di Lottomatica quando sponsorizza l’arte, nascondendo la vera mira che è quella di spacciare azzardo. Sul piatto della bilancia i 110 miliardi spesi dagli italiani in questa industria d’accatto; dall’altra i 115 miliardi di una sanità che nei giorni del coronavirus per l’ approvvigionamento di mascherine, tamponi, respiratori e posti in terapia intensiva mostra gli effetti della contrazione di 38 miliardi a bilancio messa a capitolo negli ultimi dieci anni. Un dimagrimento di cui sono responsabili tutti i Governi che si sono succeduti al potere secondo diverse sigle. Un peccato mortale che gli italiani stanno scontando. L’impudica richiesta dovrebbe essere coerentemente rispedita al mittente. Perché, emergenza a parte, il sistema-calcio, si è già abbastanza fatto male da solo con acquisti economicamente insensati (Cristiano Ronaldo su tutti), con una ridda di contraddizioni non risolte, con un management sordo a ogni positiva ipotesi di ridimensionamento. Più o meno tutte le società di serie A ricorrono a una metaforica bombola a ossigeno e rischiano di fare la fine delle centinaia di migliaia di negozi che quando il Coronavirus avrà concluso i propri effetti, non saranno in condizione di riaprire i battenti e di riprendere la vita di sempre. Di qui la richiesta (questa, abbastanza sensata) di ottenere uno sconto del 30% sui contratti dei calciatori vista un’inattività che potrebbe portare alla conclusione anticipata del torneo. Con grande gioia di Andrea Agnelli che intascherebbe uno scudetto per la Juve senza colpo ferire. Ennesima dimostrazione di una mancanza di sportività senza pari. Segno distintivo di una Juve che nella storia ha già dato abbondanti prove di questo (tragedia dell’Heysel su tutte).