di DANIELE POTO

Con piccole scosse di assestamento la tensione del coronavirus si attenua e, parallelamente, i divieti. S’intuisce il discrimine tra gli sport. Uno più diverso degli altri. Inevitabilmente il calcio. Che discute sull’opzione della ripresa degli allenamenti e della conclusione del campionato con fior di stranieri  repentinamente richiamati dalle rispettive sedi, smaltita la quarantena. Fateci caso, diversamente dalla pallavolo e dal basket che hanno stoppato i campionati e cercano ancora una possibile chiave per riprendere l’attività in prospettiva 2020-201. Vince dunque la logica del più forte e del più feroce dei professionismi sportivi, l’imposizione del dovere essere, di un coattivo riprendere l’attività anche se se non si sa come, quando e persino dove. Se in stadi pieni o a porte chiuse. Si taglierà sui contratti dei calciatori in percentuali ancora da individuare, si spera di non pagare dazio per i diritti sportivi visto che i canali Sky Dazn e Rai sport sono ora desolatamente vuoti di contenuti. Nel basket gli stranieri non torneranno più ribadendo la profonda estraneità al movimento nazionale secondo i dettami di una politica che ha tagliato le gambe alla nazionale permettendo una selezione ristretta a un numero ridottissima di soggetti. Verrebbe da dire dalla padella nella brace perché gli americani sono tornati nel loro Paese, dove ora il rischio di pandemia è considerevolmente più forte. Contenti loro! Più conservativa e meno traumatica la situazione nella pallavolo dove i rapporti sono più stabili tra tesserati e società e dunque il turnover meno destabilizzante. Però si entrerà nell’ordine d’idee di un’estate senza nazionale di volley. Qualche possibilità di recupero ce l’ha la pallanuoto che, recuperando il carattere di sport stagionale, può spendere qualche fiche di speranza di un decoroso quanto affrettato e forzoso finale di stagione. La situazione attuale ribadisce, una volta di più, di come esistano vari tipi di professionismo sul suolo patrio e come la definizione possa essere equivoca e depistante nell’accezione comune.

 

DANIELE POTO