di DANIELE POTO

Crolla in un amen la proposta dell’allargamento del campionato di basket a 20 squadre. Petali che cadono culminando situazioni economiche ormai insostenibili. Sull’asse di equilibrio Roma e Pesaro con presumibile doppio recupero di Torino e Ravenna. Sembra un’agonia la prospettiva della sparizione del basket sulla piazza di Roma, non troppo anni fa antagonista principale della Mens Sana Siena per la leadership di campionato. Il fragile carisma di Claudio Toti ha fatto i conti sempre con la filosofia del “voglio ma non posso”. Dunque budget risicati dopo gli anni d’oro (e non ci riferiamo certo a quelli del Messaggero gardiniano con Shaw e Ferry e neanche al BancoRoma di Bianchini e Wright) fino alla grottesca auto-retrocessione del 2015, incredibilmente avallata dalla Federbasket che a rigor di logica dopo la rinuncia avrebbe dovuto far ripartire il club dalle serie minori. Una serie di magagne. Scarsi capitali investibili, modesta fidelizzazione del pubblico nel catino del Palazzo dello Sport, interessi industriali di altra natura. E diciamo pura scarsa passione e competenza del tycoon in una girandola di dirigenti arrivati a Roma con grande entusiasmo e altrettanto velocemente riciclatisi ancora. Esistono indubbi problemi di sopravvivenza per il grande basket a Roma. Come dimostra anche l ‘eclisse della seconda squadra romana che ha mestamente giocato le proprie partite a Cisterna. In questi giorni si ricorda lo scudetto della pallavolo con toni trionfalistici. Ma si dovrebbe anche far presente a chi non ha vissuto quei giorni gloriosi che la squadra era stata assemblata con una congerie di valorosi professionisti di ventura, presto liberatosi quando gli ingaggi non sono stati pari alle aspettative con la conseguenza dell’evaporazione del club solo due anni dopo la conquista dello scudetto. Insomma, storie e parabole che si ripetono anche cambiando sport. Roma capitale ma non nello sport. Città orfana di impianti all’altezza, quasi invidiosa di quanto era stato fatto e costruito per i Giochi Olimpici del 1960 oggi fuori dai giochi (vedi Stadio Flaminio, Palazzetto dello Sport, velodromo Olimpico). Ordinarie storie di decadenza e purtroppo non solo sportiva.