Dei dodici azzurri al via ne sono rimasti soltanto due, completamente differenti per caratteristiche fisiche e tecniche. La vista sugli ottavi di finale di questo surreale Us Open, secondo Slam dell’anno, coinvolge direttamente Matteo Berrettini e Salvatore Caruso, due tipetti decisi in campo e fuori, nonostante la tenera età di 24 e 27 anni. Berrettini, sei del seeding e otto del mondo, dopo la storica semifinale dello scorso anno, è uno che calpesta bene i campi di Flushing Meadows, complice il suo gioco, micidiale nel servizio-bomba e potente col diritto, e la sua calma serafica, fondamentale in un gioco come il tennis che in alcuni tratti rasenta la follia in persona. Fatto sta che, dopo aver superato in tre set sia il giapponese Soeda che il talentuoso francesino Humbert, quest’ultimo avversario scomodo, adesso per il tennista romano c’è il norvegese Ruud, figlio d’arte (meglio lui del padre però), ostacolo certo non insormontabile ma da tener pur sempre d’occhio, se non altro per la voglia di arrivare del giovane scandinavo. Caruso è un discorso a parte, perché la speranza di vederlo al terzo turno di questi Us Open in era Covid era si viva sulla carta ma comunque inaspettata. Invece il siciliano di Avola, 100 del mondo e alla sua prima apparizione nello Slam yankee (sinora non aveva mai passato le qualificazioni) ha confermato il buon momento di forma che lo aveva visto, la settimana prima, nel master 1000 di Cincinnati ma sempre sul cemento di New York, passare le qualificazioni a scapito di Sinner e Thompson, che gli sono avanti in classifica di una trentina di posti. Caruso quindi ha fatto fuori prima l’aussie Duckworth (che naviga intorno alla ottantesima posizione mondiale) e poi la wild card americana Escobedo, numero 185, dopo tre ore e passa di tennis, segno che la condizione fisica e mentale è buona. Ora per l’isolano di Avola, dove il Nero (il vino) spadroneggia, c’è il forte russo Rublev. L’italiano parte sfavorito ma Rublev è genio e sregolatezza, come testimonia quella partita persa a Montecarlo contro Fognini nonostante il vantaggio di un set e 4-1 nel secondo. Insomma Rublev è forte ma ogni tanto perde la trebisonda, la misura dei colpi, lo stare in campo; forse potrebbe essere questa l’arma di Caruso, cercare di mandare in confusione il suo avversario approfittandone col suo tennis solido, fatto di pochi fronzoli e tanta sostanza, anche atletica. Staremo a vedere. Intanto godiamoci un po’ di azzurro in questo terzo turno di Slam.

Andrea Curti