Certo, l’era Smith è sconfortante, per fragilità difensiva e lentezza motoria (rispetto agli avversari) della squadra azzurra, senza considerare che l’idea di gioco mostrata sinora è risultata eufemisticamente frammentaria. L’ennesima scoppola in quel di Edimburgo contro la Scozia, maturata alla fine di un match giocato male da entrambi i quindici, deve far riflettere a lungo, considerando anche che si tratta della trentaduesima sconfitta consecutiva dell’Italia al Sei Nazioni. La domanda è sempre la stessa: l’Italia è all’altezza di giocare un torneo con squadre così tanto più forti? Eppure oggi la possibilità di lottare per una vittoria non era poi così remota. Dopo la meta iniziale di Bigi, trasformata da Garbisi, gli scozzesi sembravano allegri in difesa e distratti nei placcaggi. L’illusione azzurra però dura poco perché cinque minuti dopo i britannici pareggiano i conti con una meta di forza del tallonatore Cherry. Da qui in poi vengono subito al pettine i nodi di una Italia troppo debole: le mete scozzesi alla fine saranno otto, con tre espulsioni temporanee degli azzurri costretti a giocare con un uomo in meno (grave la prima di Mori, quando il calcio di Garbisi aveva accorciato le distanze nel punteggio) e una superiorità della Scozia che definir imbarazzante è contenitivo. Soprattutto nella velocità di trasmissione dell’ovale e nel sostegno, i britannici sembrano di un altro pianeta. Cosa resterà di questo altro Sei Nazioni? A parte le figuracce, il record del peggior passivo di punti in una singola edizione: -184 (con 34 mete subite) rispetto al -134 di un anno fa (il record negativo apparteneva all’Italia di O’Shea con -151 nel 2017). Record negativi sui quali serve tanta paziente riflessione.

Andrea Curti