Laddove c’è sofferenza (tennistica ovviamente) c’è Lorenzo Sonego: la settimana sul rosso del TC Cagliari ci ha insegnato questo, che i match del ragazzone torinese non sono mai finiti, anche quando lui o il suo avversario sembrano già sotto la doccia. Contro il teutonico Hanfmann nei quarti, sotto un set e un break (e 0-3 nel tie-break), Sonego aveva ribaltato la gara con cuore e grinta, oggi invece era in vantaggio un set e due break nel secondo prima di vedersi raggiunto e superato dallo yankee Fritz, bello senz’anima, un no-fighter che spesso perde partite per non mostrare segni di grinta, quasi fosse in campo per fare un’ora di lezione di tennis a metà tra il maestro e l’allenatore. Al contrario di Sonego. Il match tra il numero 2 del torneo e 30 del mondo (Fritz) e il 3 del seeding e 34 del mondo (Sonego, appunto) ha avuto un equilibrio esasperato sin dalle prime battute, quando i due hanno tenuto i turni di servizio annullando 5 palle break (l’americano) e 2 (l’azzurro). Il break di Sonego nel quinto game, capitalizzato 4-2, sembra il preludio di un set da portare a casa in maniera semplice. Macché. Il piemontese cede la battuta all’ottavo gioco, per fortuna Fritz è impassibile anche quando si fa controbreakkare subito a zero e questa volta, sul proprio servizio, Sonego alla prima occasione chiude 6/4 il primo set in proprio favore. Nella seconda frazione, il 3-0 con due break per l’azzurro appaiono come la panacea di tutti i mali ma Sonego, in due turni di servizio, racimola solo un punticino, perdendo d’emblée quella sicurezza che aveva avuto nei colpi sino ad allora. Fritz continua ad attuare l’unica tattica che gli è venuta in mente in due ore e 40′ complessive di gioco, ovvero martellare l’azzurro sul rovescio, e ottiene i suoi frutti: sorpasso americano da 0-3 a 4-3, poi servizio bello solido (annullata anche una palla-break a Sonego nel nono gioco) e altra piccola rimonta da 40-15 Sonego nel dodicesimo. Insomma, 7/5 Fritz e il piemontese si morde le mani per il vantaggio gettato alle ortiche. Ma nulla è perduto. La forza del new Sonego è anche nel carattere, nel saper resettare le negatività che inevitabilmente compaiono in un incontro, e così l’azzurro ritrova smalto e coraggio nel terzo set mentre il californiano fa presenza fisica, senza carne né pesce, e fa una rabbia incredibile vedere un giocatore così valido tecnicamente perdersi nei meandri della lotta, restare amorfo. Buon per Sonego che gli lascia solo un game in un set in cui il piemontese ha sofferto nei primi giochi, annullando cinque pericolose palle-break al suo contendente, prima di prendere il largo e volare verso la sua terza finale in carriera che gli vale i primi trenta del mondo. Terza finale uguale terza superficie: erba di Antalja in Turchia (vittoria), cemento indoor di Vienna (sconfitta con Rublev ma scalpo del n.1 Djokovic) e ora terra rossa: la dimostrazione che Sonego gioca bene su tutti i campi e che tutte le superfici sono rapide, la cara vecchia terra rossa, con i suoi chili di mattone rosso sbriciolato, non esiste più da tempo. A fine gara, comunque, l’azzurro ha confessato che “ho avuto un momento difficile alla fine del secondo set perso, però poi mi sono tranquillizzato e sono ripartito, anche perché dentro sentivo le energie per poter vincere la partita. Tatticamente – ha spiegato Sonego – ho cercato di riguadagnare qualche metro in campo e sono riuscito a disputare un terzo set quasi perfetto. Ringrazio anche il mio team, che mi ha dato tanto supporto nelle difficoltà. Rispetto alla prima finale ATP ad Antalya ho acquisito esperienze importanti in giro per il mondo, mi sono allenato con giocatori più forti cercando di rubar loro le cose migliori, sono anche cresciuto mentalmente. Questo torneo si gioca in casa, situazione non tanto frequente, e sono contento di essere arrivato in fondo”. Già, domani (ore 13, diretta in chiaro su Supertennis TV) partita di altra caratura contro il serbo Djere che, se è vero che non ha il talento di Fritz e neppure la classifica (Djere è 54 e Sonego venti piazze sotto), è altrettanto vero che la solidità del serbo, mista a furbizia e malizia (Cecchinato ne sa qualcosa nella finale di Pula quando il serbo si finse stirato…), ne fanno un avversario duro da digerire, quasi un muro contro cui sbattere. Ma Musetti, pur perdendoci, ci ha insegnato che con la fantasia e i cambi di ritmo, anche i muri si possono “bucare”.

Andrea Curti