Lo stallo nelle elezioni per la massima carica della Presidenza della Repubblica è
figlio della cattiva politica, del mancato adeguamento della legge elettorale,
sancendo con un altro segnale il distacco del Palazzo dalla vita della società civile. Si
naviga a vista con un progetto che nella sua dichiarata anti-costituzionalità perde
vigore giorno dopo giorno. Cioè l’idea di trapiantare ex abrupto Mario Draghi dalla
Presidenza del Consiglio al Quirinale. Il lavoro a Palazzo Chigi evidentemente non è
finito perché il PNRR non è stato messo a regime a terra, perché la pandemia
continua a portarsi via quasi cinquecento italiani ogni giorno. Un abominio
legislativo, una sgrammaticatura evidente il piano iniziale del trasferimento di
compiti pensato per Draghi. In realtà la mossa sta fallendo perché i partiti vogliono
riprendersi la scena e semmai il passo sarà compiuto solo per default perché non si è
trovato un candidato di compromesso all’altezza della situazione. Ma come in
questo caso la mediazione tra centro-destra e centro-sinistra non quaglia in nulla di
concreto per una sorta di ripetuti veti incrociati e per l’evidente impresentabilità di
alcuni candidati. Come si può pensare come candidato credibile chi ha diretto i
servizi segreti, chi è stato divisivo uomo di parte (Berlusconi), chi ha militato in
tutte e due gli schieramenti senza raccogliere la piena fiducia né dell’uno né
dell’altro (Casini), chi ha sempre preferito la monarchia (Tajani). . Mattarella
continua a essere incongruamente tirato per la giacca. Eppure parliamo di un carica
che dà prestigio e che dovrebbe assicurare piena riconoscibilità all’Italia di fronte
all’Europa nel prossimo settennato. I due rami del Parlamento non hanno preparato
per tempo questa elezione e dimostrano la precarietà del tempo. Forse un
messaggio per la trasformazione dell’Italia in una Repubblica presidenziale, sulla scia
della Francia. Se non altro per assicurare un quadro più certo e stabile.

DANIELE POTO