di CRISTIANO SACCHI

Se state cercando il Jimi Hendrix bianco, Johnny Winter è di sicuro il suo alter ego: un musicista nero che più bianco non si può, maestro assoluto nel fondere il country blues del Delta con il blues elettrico. Nato a Beaumont nel 1944, John Dawson Winter III cresce in una famiglia che si nutre di musica, lui e suo fratello Edgar sono accomunati dall’albinismo e dalla passione per le note. Il primo sarà causa di non pochi problemi: entrambi i fratelli, soffrono infatti dei disturbi tipici alla vista legati al gene dell’albinismo, e vivere in un posto come il Texas, che non ama molto le diversità è veramente dura. Ma nonostante tutto, entrambi i fratelli, godranno di tutti i privilegi di una famiglia benestante che cerca di non far pesare a loro questa “diversità”. Il padre suona il sassofono, il banjo e l’ukulele, e Johnny così inizia a prendere lezioni di musica. Musica che alla fine troverà terreno fertile in lui, spinto anche dalla madre sua grande sostenitrice, che anche lei, oltre a suonare il piano, riempie la casa di libri e cultura, favorendo così lo sviluppo della loro fantasia, fatta di personaggi e mondi fantastici. Johnny Winter come tanti adolescenti, non è indifferente al rock ‘n’ roll di Elvis Presley, ma il suo grande amore è il blues, quello vero, quello che ascoltavano gli inservienti di colore a casa del bisnonno. “La chitarra è stato lo strumento che per la prima volta mi ha fatto sentire normale”, una Gibson ES125 regalatagli dal bisnonno, monopolizza la sua vita di dodicenne, occupando tutto il suo tempo. A sedici anni, la musica diverrà lavoro, e gli permetterà di guadagnare qualche dollaro alla Jefferson Music Company di Beaumont e di conoscere Clarence Garlow, musicista e Dj di una radio locale, dove passa le notti ad ascoltare musica. Ogni disco che ascoltava, cercava subito di impararlo ed adattarlo al suo stile, passando tutti i pomeriggi dopo la scuola ad esercitarsi nella sua stanza. Alla fine degli anni ’50 con il suo primo gruppo Johnny and the Jammers, conquista il suo primo contest e strappa il primo contratto discografico per un 45 giri con la Dart Records. Con questo 45 giri, la band inizia subito a suonare nei club e scuole, fino ad arrivare sul palco del Lucille, il locale più famoso di Beaumont. Il suo nome e la sua fama crescono sempre più, ma è nel ’68, che avverrà la vera svolta: il batterista John “Red” Turner e il bassista Tommy Shannon gli chiedono di formare una blues band. E’ così che nasce la Johnny Winter. The Progressive Blues Expirement, nel titolo è chiaro il riferimento a Jimi Hendrix ed ai suoi Experience. Winter inizia così a scrivere le sue prime composizioni, ed il suo primo disco nasce come un live, registrato in due serate di quattro ore ciascuna, dove il gruppo esegue grandi classici ed inediti. Rollin’ And Tumblin’ brano di Muddy Waters, nelle sue mani diventa un blues-punk rock con tanto di chitarra slide, Tribute To Muddy è il primo brano inedito dove rende omaggio al suo idolo Muddy Waters, il basso sostiene la voce e gli assoli di Winter con una precisione impeccabile. I Got Love If You Want It è un rock-blues dal sapore inglese, che rimanda ai Cream ed alla loro versione iconica di Crossroads di Robert Johnson, Bad Luck And Trouble è un country blues vecchia maniera: chitarra resonant suonata con lo slide, armonica e banjo. Help Me, brano che chiude il lato A, ha contorni hendrixiani nel suono e nel modo di suonare la chitarra. Mean Town Blues, apre nel migliore dei modi il lato B: blues-rock che incendia da subito l’ascoltatore, con il suo riff di chitarra appena distorto, Broke Down Engine è un altro omaggio al blues rurale, questa volta solo chitarra e voce, sembra di essere tornati indietro ai primi anni del secolo scorso. Black Cat Bone di Winter, è questo il suono iconico della sua chitarra tagliente, fedelissimo alle sue Gibson Firebird, It’s My Own Fault è uno slow-blues concepito come una jam session della durata di sette minuti dove il bluesman sfoga tutta la sua creatività, Forty-Four brano di Howlin’ Wolf, nelle sue mani diventa un brano che farebbe gola ai Rolling Stones. Un bluesman bianco che compie il viaggio al contrario, fino ad arrivare alle radici del vero blues nero, e lo porta alla ribalta. E’ un qualcosa che è successo a pochi eletti, e quei pochi sono diventati leggende.