L’annata-no della Juve è, se possibile, peggiore di quella dell’anno precedente,
risultati alla mano. Prematura eliminazione dal traguardo di stagione (la Coppa
internazionale più prestigiosa), sconfitta in finale in Coppa Italia, lontana dall’inizio
alla fine da qualunque possibilità di agganciare l’orbita-scudetto. La squadra di
Allegri a tratti ha fatto rimpiangere quella di Pirlo, il che è già una bella impresa
anche se il tecnico livornese guadagna molto di più del quasi debuttante ex azzurro.
E alle spalle c’è il dissenso dei tifosi (fischiato Andrea Agnelli), la mossa impopolare
dell’accettazione della Superlega, i conti che non tornano, la mancanza di un
progetto tecnico credibile. La Juventus non ha mai consolidato un centrocampo
credibile e ora perde due dei giocatori più carismatici ovvero quel Dybala che, tra
alti e bassi, è stato comunque uno dei tesserati più positivi e prolifici e l’architrave
della difesa, Giorgio Chiellini. L’incertezza del management è dimostrato dalle attuali
mosse di mercato. Con il tentativo di far tornare a Torino il ripudiato Pogba,
pagandolo un prezzo sproporzionato al suo attuale valore. In qualunque altra
holding l’ingaggio multi-milionario di Ronaldo, in assenza di risultati, a suo tempo,
sarebbe costato il posto al presidente. Ma gli Elkann sembrano voler affondare con il
Titanic tra processi sportivi e penali (Suarez) e un’immagine che sbiadisce ogni volta
di più. Insomma lo Juventus touch, legato al brand e al marketing, sembra
progressivamente svanire, tra scelte sbagliate, l’esagerata attenzione al business.
Con il rischio di valorizzare le avversarie e di veder evaporare quel prestigio
acquisito con l’apertura di credito di un ciclo quasi infinito di scudetti. Crisi di gioco,
di credibilità, di prospettiva. Quando Gianni Agnelli chiosava: “Quel che va bene alla
Fiat fa bene all’Italia” potrebbe essere ora girato così: “Quello che fa male alla Juve
nuoce a tutto il calcio italiano”. Con un probabile fondo di verità.

DANIELE POTO