di CRISTIANO SACCHI
Tirare fuori il lupo che tutti abbiamo dentro, questo accade quando si ascolta un disco di Howlin’ Wolf. Nei suoi dischi c’è qualcosa di oscuro e magico che ti smuove da dentro, la sua voce ruvida e baritonale ti arriva dritta in faccia dandoti la scossa. B.B. King diceva di lui: “non ha una voce gradevole, ma ti trasmette ogni suo sentimento”. Chester Burnett nasce nel 1910, la famiglia non ha avuto molto riguardo per lui fin da subito: il padre se ne va di casa quando aveva all’incirca un anno, e la madre lo mette alla porta nel pieno di un freddo inverno. Arriva da solo a piedi dal prozio paterno Will Young, che lo cresce fino a tredici anni. Stanco di essere cresciuto dallo zio, dalla frusta facile, decide di cambiare aria. Il treno lo porta nelle piantagioni del Delta, dove ritrova suo padre. Howlin’ Wolf diventa un uomo grande, grosso e di buon cuore, e quando vede arrivare Charley Patton con la sua chitarra, inizia ad innamorarsi della musica. Diventerà suo allievo e poi sua spalla, cercando di imparare ogni cosa dal suo modo di suonare, ma il Delta non offre solo Patton. I Mississippi Sheiks, Blind Lemon Jefferson e Jimmy Rogers sono altre fonti d’ispirazione. I primi anni li passa a suonare nel juke joint, tra donne, alcol e gioco d’azzardo per pochi spicci, ma gli da l’opportunità di suonare ed incontrare stelle del calibro di Son House, Willie Brown, Robert Johnson, Sonny Boys Williamson II. Nel 1948 Wolf decide di trasferirsi a Memphis e mette su un gruppo, gli House Rockers. Ora suona la chitarra elettrica, e quello che esce dal suo gruppo è un misto di Delta e Jump blues, con tocchi di jazz ed un mood quasi rock. Sam Phillips si accorge di loro e sopratutto della voce poco educata e sincera di Wolf. Nel 1951 negli studi di Phillips incide un demo con due brani, How Many More Years e Baby Ride With Me, a questo punto lo manda dai fratelli Chess che rimangono entusiasti. Nello stesso anno finalmente, sotto l’etichetta Chess, esce il primo 78 giri Moanin’ At Midnight e How Many More Years. Wolf continuerà ancora per un breve periodo a registrare i brani per la Chess a Memphis con Sam Phillips, finchè ad un certo punto Leonard Chess non decide di volere più vicino la sua creatura, così Chester parte con la macchina alla volta di Chicago. Il lupo non perde tempo e mette in piedi una super band, la Chess mette a disposizione i suoi musicisti, uno tra tutti Willie Dixon con cui inciderà svariati brani, molti dei quali contenuti in questo secondo LP, ribattezzato The Rockin’ Chair Album. Il disco si apre con Shake For Me con il suo trascinante andamento tribale che ben si adatta alla sua voce cavernosa, Little Red Rooster è un vero classico del blues dove puoi vedere la sua ugola ululare e lacerarsi di dolore, You’ll Be Mine verrà ripreso e portato al successo da Stevie Ray Vaughan. Who’s Been Talking?, con la sua armonica e l’accompagnamento della fisarmonica, donano al brano un mood “midnight in Paris”, Wang Dang Doodle è un blues che verrà ripreso anni dopo ed incluso nel suo disco London Session. Spoonful altra vera perla di Willie Dixon apre il lato B nel migliore dei modi, Goin’ Down Slow smorza subito l’entusiasmo iniziale ed offre un Wolf “cantastorie”, Down In The Bottom con il suo riff ossessivo è trascinante, Back Door Man è uno slow blues vecchia maniera, Howlin’ For My Baby è un rock blues in cui cerca di “addolcire” la sua voce per renderla sensuale, Tell Me altro brano ripreso da Stevie Ray Vaughan, è un classico straripante e senza tempo. Mettete su il disco e lasciatevi azzannare dalla varie sfumature del lupo, sicure ne troverete più di cinquanta.
Be the first to write a comment.