I risultati dei mondiali di Budapest avvalorano una precisa gerarchia. In questo
momento nella fotografia dal vivo dello sport italiano la disciplina numero è il nuoto.
In vasca ormai i valori sono globalizzati e lo dimostrano i successi dello sconosciuto
giovane rumeno Popovici. L’onda ungherese è azzurra con un medagliere
imponente, secondo solo agli Stati Uniti, in competizione con i metalli cinesi.
Parliamo di grandi potenze dello sport e un’Italia pienamente competitiva in tutti i
settori: nuoto in vasca, nuoto in mare aperto, tuffi, pallanuoto, sincronizzato. Merito
del buon lavoro della gestione Barelli, di un decentramento oculato che ha
permesso di assorbire senza traumi il ritiro dell’elemento più prestigioso: Federica
Pellegrini. Inopportuno il confronto con lo sport più popolare- il calcio- che ai
mondiali è stato persono escluso. O con altri sport di squadra dove forse solo la
pallavolo regge il confronto, non certo il basket che reca come titolo di massimo
merito l’eliminazione ai quarti di finale del torneo olimpico ma anche recenti
sconfitte con l’Olanda o l’Islanda. Per non parlare del ciclismo, quasi orfano di Nibali
e della sua competitività. Per trovare sport emergenti bisogna spaziare in un terreno
di novità: la ginnastica ritmica con la Raffaeli, la scherma con la sua intatta
tradizione, il tiro con l’arco, sia pure tra alti e bassi. Purtroppo l’atletica nei prossimi
mondiali di Eugene sarà costretta a un amaro confronto con i risultati dei Giochi di
Tokyo. Jacobs appare poco prestativo e forse farà fatica ad arrivare in finale. Dalla
staffetta veloce non ci sono prove confortanti prima del via iridato. La Palmisano,
infortunata, non è neanche iscritta e anche Tamberi versa in uno stato di forma
poco rassicurante. Dunque grande merito al nuoto, alla sua capacità di
programmazione, al futuro che si annuncia ottimo vista anche la giovane età di
soggetti come Ceccon, Martinenghi, Pilato e Pellacani.

DANIELE POTO