Il duro lavoro, l’esser presente sul campo mentalmente e spiritualmente, oltre che fisicamente, alla lunga paga: se ne è accorto anche l’altoatesino Sinner che a piccoli passi sta riconquistando la top–ten in pianta stabile con vista Finals di Torino. Intanto l’azzurro è in finale al Master 1000 di Miami e l’ha raggiunta battendo il numero 1 del mondo, lo spagnolo Alcaraz (che però lunedì perderà lo scettro in favore di Djokovic) addirittura rimontando il primo set ceduto al tie-break e riprendendosi la rivincita di Indian Wells. Non c’è dubbio che al momento e al di là della classifica, Sinner sia il giocatore italiano più forte e più continuo, e questa continuità l’ha ritrovata dopo un periodo di appannamento, dovuto al fatto che il suo gioco si era snaturalizzato tra discese sotto rete e un gioco più vario contro natura, per uno come lui che non è un fulmine di guerra e non è un gran volleatore, né possiede un tocco di gran classe. Così forse chi lo allena (Vagnozzi e Cahill) forse hanno inteso un Sinner meno spregiudicato e più attinente alle sue caratteristiche di pressatore da fondo campo. Ma il vero miglioramento si è avuto nel servizio: ora la prima di Sinner è decisamente più pesante e la seconda è quantomeno più lavorata e più lunga. Insomma iniziare lo scambio mettendo in difficoltà l’avversario è sicuramente un buon viatico per la solidità nei suoi turni di servizio. Però in finale contro il russo Medvedev, ritrovato nel gioco e ritemprato nelle energie fisiche, sarà davvero dura. Il 27enne moscovita ha vinto tutti e cinque i precedenti con l’altoatesino, l’ultimo in finale a Rotterdam il mese scorso. Era indoor sul veloce, non all’aperto, e il divario tra i due fu netto. Ma come si batte il russo che sinora ha vinto più partite di tutti (28 per l’esattezza)? Forse con la pazienza, senza cadere nella rete dei palleggi, non lasciando l’iniziativa all’avversario, non facendogli prendere campo, sbagliando poco se non nulla. Soprattutto mentalmente, facendo uscire il russo dal match, distruggendo tutte le sue sicurezze. Sarà arduo ma la speranza c’è. .

Andrea Curti