L’arabe fenice, il miraggio che a breve evaporerà. Infatti perde consistenza con il passare dei giorni la possibilità che
Banchero, il ventenne pivot emergente negli Usa, possa giocare per la nazionale italiana di basket. E già dai prossimo
mondiali 2023. Nonostante le missioni di Pozzecco negli States, le implorazioni velleitarie del presidente Petrucci
appare chiaro che il salto di qualità tecnico del giocatore prelude a ben altri traguardi e priorità. Prima di tutto
l’impegno con il club professionistico, al primo anno di contratto, poi il possibile interessamento della stessa nazionale
statunitense (Banchero ha il doppio passaporto). Comunque si continua a cavalcare l’illusione per un giocatore che
non parla una parola di italiano, non ha mai indossato la maglia azzurra, non è mai venuto nell’ex Belpaese e che,
tutto sommato, non si capisce perché, anche di fronte a una congrua offerta economica, dovrebbe rinnegare il proprio
mondo per giocare a gettone nella poco ambiziosa compagine azzurra. Del resto per chi ha buona memoria un
tentativo del genere era già stato effettuato per il play Divincenzo e anche questo non era andato a buon fine. Sembra
strumentale ora il tentativo di coltivare una speranza suggestiva ma vana. Del resto anche gli stessi giocatori italiani
che hanno militato nella NBA (e qui parliamo di nativi) hanno spesso rifiutato la chiamata privilegiando i dollari dei
rispettivi club. La carriera di Gallinari e, in parte, di Melli, indica chiaramente questa preferenza. Il richiamo a Banchero
sembra quasi un input pubblicitario per far parlare di un basket italiano che lentamente perde spazi in televisioni e sui
quotidiani, omologamente all’eclisse delle squadre italiane in Coppa, nessuna delle quali protagonista nelle prossime
fasi finali. Dunque un appeal evanescente di cui al vertice chissà se in buonafede nessuno sembra rendersi conto
mentre Petrucci (78 anni) smentendo se stesso medita di ricandidarsi alla presidenza della Federbasket.

DANIELE POTO