Si sarà detto “Ora o mai più, Nole!”: la ferocia con cui Djokovic, con i suoi 36 anni, ha tenuto testa e gambe contro il pivello Alcaraz (20 anni e 1 del mondo), finendo per mandare al tappetto colui che non ti aspetti, cioè il ragazzino spagnolo, sarà da monito per il norvegese Ruud, figlio di (modestissima) arte, che però torna sul Centrale del Roland Garros in finale per il secondo anno consecutivo. L’anno scorso le prese da Nadal, quest’anno è probabile che le prenda da Djokovic. Ma nel tennis abbiamo imparato che nulla è scontato, anche quando si è in vantaggio 5-0 40-0. Fatto sta che si tratta di un match che, sulla carta, non entusiasma i palati più fini, per le caratteristiche tecniche dei contendenti, tuttavia alcuni record possono essere polverizzati. Innanzitutto, la vittoria a Djokovic, oltre ad un cospicuo montepremi, frutterebbe il ritorno al numero 1 del mondo e il 23° Slam in carriera, ossia il tennista che ne ha vinti di più nella storia, per giunta nel campo preferito da uno dei suoi più acerrimi nemici, Nadal appunto. Ma sotto la Torre Eiffel i 14 trofei di Nadal restano irraggiungibili per chiunque: per Djokovic è la settima finale a Parigi con due soli successi, 2016 e 2021, e le primavere che passano e il viale del tramonto che si avvicina, e non bisogna essere miopi per non vederlo. E’ proprio l’incedere del tempo che può stra-stimolare il campione serbo a tentare l’exploit leggendario perché, come cantava il grande Lucio Dalla in Meri Luis, “questa vita che passa accanto e con le mani ti saluta e fa bye bye” non dà prospettive a lunga gittata. Per impresa s’intende la non impossibile conquista del Grande Slam (Djokovic ha già in tasca Melbourne, ora finale a Parigi, poi Wimbledon e New York) il vero obiettivo stagionale e di fine carriera del tennista di Belgrado, così concentrato nel centrare i 4 tornei Slam, cosa che manca dal lontano 1969 col mancino Laver. E ogni volta che se ne parla o se ne sente l’odore, pare un tabù, come quel maledetto Us Open 2021 col cattivone russo Medvedev a far da guasta feste. Ora, per arrivare a metà strada, serve abbattere il fortino norvegese eretto da Ruud, un Generale Custer della racchetta, che non alza bandiera bianca neanche quando è solo intorno a centinaia di indiani inferociti. Ne ha presi di ceffoni Ruud dall’inverno ad oggi, compresi quelli dal giovane Arnaldi a Madrid, ma il soldatino scandinavo si è rimesso sempre subito in riga, esorcizzando il diavolo della sconfitta con il lavoro giornaliero sul campo. Ed eccolo là, sul Centrale come a Little Bighorne, col pellerossa Djokovic pronto a prenderne lo scalpo. Ma venderà cara la pelle. Lo ha detto anche il prode Zverev, tornato dagli inferi per fermarsi in semifinale: lui scommetterebbe su Ruud (Djokovic tocca ferro e oltre), i bookmakers dicono il contrario. Ai posteri l’ardua sentenza. Domani, in un verso o nell’altro, si fa la storia.

Andrea Curti