Sviluppo industriale e declino zarista. Con lo zampino (immancabile) dei “maestri” inglesi, che hanno esportato il football nella terra dei Romanov. Tra la fine del 19esimo e l’inizio del 20esimo secolo il calcio divenne prima fenomeno d’elite e poi passione popolare. E strumento di propaganda sia nella Russia della rivoluzione d’ottobre che nell’URSS del primo e secondo dopoguerra. Con il calcio, ma non solo, lo sport divenne un modo non secondario di introdurre (e accettare) la modernità in un impero zarista prossimo al collasso. E’ vero che la caduta dei Romanov e l’affermazione del primo Stato socialista al mondo influirono sull’espansione e lo sviluppo del calcio. E’ vero anche, però, che fu proprio lo zar, prima ancora dei bolscevichi, a promuovere lo sport in generale come elemento fondamentale per potere affrontare e vincere le guerre, nella necessità di preparare fisicamente al meglio le truppe. Il Saggiatore ha tradotto (dal catalano) L’arte del calcio sovietico (Futbol al pais del soviets), il saggio di Carles Vinas, docente di storia contemporanea all’università di Barcellona e studioso dei contesti socio-politici dello sport. La guerre, dunque, e le battaglie perse, specialmente quelle in Crimea, favorirono l’imperativo di uscire dall’arretratezza del sistema economico e sociale, e contribuirono anche a diffondere il gioco del calcio. Di fronte alla lenta industrializzazione del Paese, la Russia zarista accelerò il ripristino dei contatti diplomatici con la Gran Bretagna per migliorare e ampliare i rapporti commerciali e rendere la Russia appetibile agli investimenti britannici. L’ingresso di capitali stranieri, inglesi e tedeschi su tutti, avviò l’industrializzazione di una società che passò da una base prevalentemente contadina a un nuovo proletariato urbano. In parallelo s’insediarono le prime colonie di cittadini stranieri. La più numerosa fu proprio quella britannica (inglesi ma anche scozzesi), che si stabilì soprattutto a San Pietroburgo, Mosca e Odessa: oltre a esponenti del corpo diplomatico, c’erano proprietari (di fabbriche e mulini tessili), funzionari, ingegneri e anche operai, a contratto con imprenditori russi ma con il compito precipuo di mettere a disposizione degli omologhi russi le proprie competenze. Di fronte a questo scambio di “buone pratiche”, fu inevitabile che dalla cassetta degli attrezzi uscissero anche le buone abitudini per lo svago e il tempo libero. Tra queste, ovviamente, una palla da prendere a calci. L’innamoramento fu lento ma inesorabile, considerando che la modernizzazione dell’economia andava in parallelo con la necessità di una migliore preparazione fisica del popolo russo. Dagli anni sessanta del 19esimo secolo, scrive infatti Vinas, la Russia si mostrerà molto ricettiva verso l’educazione fisica e le nuove forme di svago che si stavano diffondendo in Europa. Tra queste, i Turnverein tedeschi (ginnastica), il Sokol ceco, (movimento ginnico nazionalista con l’obiettivo di offrire a uomini e donne una preparazione fisica, morale intellettuale, senza distinzione di età né classe sociale) e l’educazione fisica in Svezia. Gli stranieri fondarono in Russia molti club (privati) per la pratica di cricket, ginnastica, pattinaggio, tennis, biliardo e vela; e in seguito pugilato, pallacanestro, atletica e ciclismo. Inizialmente, dunque, il calcio rimase in disparte. O semplicemente restò un gioco rurale, che in realtà non aveva nulla in comune con il calcio portato dai britannici, chiamato kila, le cui origini risalgono al 17esimo secolo, quando regnava Alessio I, padre di Pietro il Grande. I contadini vi giocavano in estate e anche in inverno. Due squadre composte al massimo da 9 giocatori, racconta l’autore, dovevano contendersi una palla di cuoio riempita di capelli. L’obiettivo era portarla fuori dai confini della città vicina, e quando questo avveniva i giocatori della squadra che avevano compiuto l’impresa gridavano: kila! La pratica del calcio moderno fu introdotta in Russia nel 1887, ma le prime partite venivano giocate solo da stranieri. A cui più tardi si aggiunsero i russi. Fino al 1908, però, fu evidente l’egemonia di inglesi, scozzesi e tedeschi nel calcio russo. Con l’industrializzazione e i movimenti operai, a fine ottocento irromperà il calcio moscovita. Morozovci, composta cioè da giocatori della fabbrica Morozov, fu la prima grande squadra russa. A inizio Novecento, secondo alcuni giornalisti locali, il calcio stava diventando “la cosa più interessante da vedere a Mosca”. E divenne fondamentale anche per i dirigenti dell’Unione sovietica, a metà degli anni Venti. Per ottenere 2 obiettivi: mostrare al mondo la forza dell’URSS e interromperne l’isolamento internazionale. Ma fu strumentale anche per tenere coeso il mosaico eterogeneo di etnie e culture, perché non tutti erano d’accordo. In certe zone dell’Asia centrale, infatti, alcuni ulema demonizzavano il calcio, perché considerato lo strumento con cui i russi facevano entrare nelle società musulmane la “testa del diavolo”.
Pierpaolo Arzilla