Il conflitto d’interesse è un irrisolto problema in tanti aspetti della vita nazionale. E il calcio non si fa mancare questa atipicità tutta italiana. La Federcalcio ha stabilito delle norme di incompatibilità sulla gestione societaria ma non si preoccupa di quello che potrebbe succedere realisticamente tra qualche mese se la Salernitana, come è probabile, guadagnasse l’agognata promozione in serie A. Il presidente della Lazio Lotito dovrebbe liberarsi di uno dei due club di proprietà ma è pensabile che ,manuale delle norme alla mano, potrà vendere la società campana (perché questa sarebbe inevitabilmente la sua scelta) in un mese? Obtorto collo e a prezzi di svendita? Si possono formulare tanti pensieri maliziosi su questo scomodo duplex imprenditoriale. Ad esempio che per risolvere la questione Lotito si affidi a un prestanome o che, in extremis, forzi la squadra campana a non salire in serie A. L’ibrida convivenza (il piede in due staffe) già ha creato vistosi problemi di cogestione vedi l’utilizzo dell’aereo sociale oppure la scelta di un laboratorio comune per il controllo di eventuale positività al Covid dei componenti delle due rose societarie. Ma anche per il basket solleviamo un caso di potenziale conflitto d’interesse. La Fortitudo Bologna ha bruscamente sollevato dall’incarico il tecnico Sacchetti che, guarda caso, è anche allenatore della nazionale. Con lui un giocatore come Totè era sempre in panchina nel club. Sostituito il coach, Totè è diventato il faro della squadra con legittima aspirazione di convocazione in nazionale dato che il reparto lunghi tra gli azzurri è tradizionalmente privo di elementi di valore. Ora quel Sacchetti che sottovalutava Totè dovrebbe cambiare panni e riparametrare il giudizio, venendo meno alle proprie convinzioni? Il problema si ripropone ogni volta che una federazione consente al tecnico della nazionale di intrattenere un rapporto contrattuale anche con un club. Fino ad arrivare a questo caso limite.
DANIELE POTO
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