ROMA – “Siamo un power trio che suona ultra blues, che poi sarebbe rock ‘n’ roll”. Così il bassista e voce dei Blue Cheer, Dickie Peterson definisce il loro stile. Nati a San Francisco nel 1967, in piena Summer of Love, il loro album di debutto, Vincebus Eruptum, datato 1968, va controtendenza a tutto quello che li circondava in quel periodo. I Doors, i Jefferson Airplane, i Love, i Grateful Dead, Bob Dylan, Joan Baez, questa era la San Francisco del periodo in cui sono usciti. Ma a loro non importa, strizzano l’occhio all’altro lato dell’oceano: i Cream e gli Experience di Jimi Hendrix sono le loro influenze musicali e stilistiche che balzano subito alle orecchie ascoltando le prime tracce del disco. Strana parabola quella dei Blue Cheer, resi invisibili e impenetrabili dai loro coetanei, troppo presi dalle sirene della controcultura lisergico-hippie, alieni precipitati in un mondo e in un epoca sbagliata, i Blue Cheer vengono recapitati in un capitolo della storia del rock non scritto per loro. In anticipo su tutto e tutti, hanno inventato e definito il vero metal, quello poi portato alla ribalta dai Black Sabbath e dagli Stooges, per citarne alcuni, e in parte minore dai Led Zeppelin. Non solo, basta ascoltare la prima traccia di questo disco, Summertime Rock, cover di un brano di Eddie Cochran, per capire che la batteria, selvaggiamente rimanda ad un pezzo dei Sex Pistols, Anarchy in the UK di molti anni dopo. E sempre con questo primo brano, anticipano quelle sonorità Psychobilly che si faranno strada nei tardi ’70. Non male come apertura per il loro primo disco, che poi sarà il loro unico vero capolavoro e testamento. La musica in questo album è fisica, qualcosa di più di una esperienza soltanto musicale, non sono tecnici, ma come gli Experience di Hendrix si lanciano in assoli e improvvisazioni che sfociano spesso nel progressive rock. Sono animali lasciati allo stato brado, circondati dal loro muro di amplificatori sparati al massimo, che circoscrive il loro raggio d’azione. Nel disco sono presenti altre cover: Rock me baby di BB King e Parchment Farm di Mose Allison, che danno l’idea del loro gusto selvaggio e pachidermico per le riletture di brani altrui. Mentre i loro inediti, Doctor Please, Out of Focus, e Second Time Around, sono fortemente influenzate dai richiami hendrixiani di Axis: Bold as love, con cospicue dosi di improvvisazioni lisergiche. Vincebus Eruptum esce nel gennaio del 1968, ed in poco più di trenta minuti sgretola una intera generazione hippie, dando vita ad una nuova generazione di ricercatori del suono, totalmente anticonformista per il loro tempo. Dickie Peterson, in una delle sue ultime interviste pronuncia questo epitaffio alla loro storia: “ Gli anni ’60 erano assolutamente incredibili. Potevi andare dove volevi e se avevi fame ed eri senza soldi ti davano comunque da mangiare. Se eri un po’ furbo e simpatico trovavi anche da dormire. Poi con l’arrivo delle droghe pesanti verso il 1969 e 1970 le cose hanno cominciato a peggiorare. Anche noi all’epoca ne usavamo tante e non nascondo il fatto di essere stato un eroinomane per quindici anni. Ora ci sto alla larga, ma intanto le cose sono andate completamente in rovina. La gente si è allontanata da questo clima rivoluzionario e ha girato le spalle a tutto quello che era nato in quegli anni. Molti sono tornati al college o a fare il lavoro dei genitori o l’assicuratore. Li ho visti con i miei occhi e in parte li capisco. Nei loro panni, se avessi avuto un diploma lo avrei fatto anch’io. Ma io ho sempre e solo suonato. Non avevo posti dove andare o lavori da fare. Ciò non toglie che sia stata una vera e propria diserzione di fronte al nemico, un tradimento!”. Queste sono le persone che circondano e suonano il Blues, che altro aggiungere? Che il Blues sia con voi. Buon ascolto.

CRISTIANO SACCHI