di CRISTIANO SACCHI

Londra dei primi anni ’60 è il centro musicale del mondo. La città trasuda blues, in ogni locale, su ogni palco, in ogni dove la musica di oltreoceano è la colonna sonora di una città in continua evoluzione e sempre in fermento. La capitale inglese è un esplosione continua di talenti emergenti, John Mayall è uno di questi, che grazie al suo fiuto e alle sue doti di polistrumentista, è il primo a lanciare sulle scene il British Blues. Nei primi anni ’40 John Mayall è un adolescente appassionato dei dischi di boogie e dell’armonica di Little Walter e di Sonny Boy Williamson II. Crescendo, approfondisce, anche grazie al padre, il suo rapporto con la musica, finchè non arriva a scoprire il blues elettrico di Muddy Waters, che lo porterà a fare il grande passo verso la capitale inglese. Nel 1963 a Londra, fonda i Blues Breakers, con cui porta sul palco un mix di classici del Chicago blues e di brani originali. Nel 1964 incontra Mike Vernon, e grazie a lui entra in sala di incisione per il suo primo 45 giri, Crawling Up A Hill. Il suo primo 33 giri, John Mayall plays John Mayall, è per ora molto lontano dai clamori che stanno raccogliendo Beatles e Rolling Stones, e non raggiunge quindi nemmeno le 500 copie vendute. Ma di lì a poco le cose sarebbero cambiate: grazie all’incontro con Eric Clapton e Jack Bruce, la sua mente inizia a cercare nuove direzioni e nuove tendenze musicali. Nel 1965, Mayall scopre gli Yardbirds e si innamora del suono della chitarra dell’ancora diciannovenne Eric Clapton, e decide che il ragazzo deve suonare con lui nei Blues Breakers. Clapton e Mayall suonano insieme per una serie di concerti al Marquee e alla Roundhouse, dove regalano agli spettatori una musica convinta, unica ed avvolgente, sempre in continua evoluzione, di pari passo con il crescere strepitoso di Clapton come chitarrista. Il mondo da qui in poi non sarà più lo stesso. Il primo 45 giri con Clapton alla chitarra è I’m Your Witchdoctor, è la scintilla che serve per far capire alla casa discografica Decca che qualcosa di buono è in arrivo. Ma è con il secondo 45 giri, Lonely Years, che Mayall e Clapton vanno a segno: il singolo diventa subito il più venduto del catalogo della Decca. Finalmente è arrivato il momento di incidere un 33 giri, e Blues Breakers: John Mayall with Eric Clapton è il disco che darà una dimensione definitiva al British blues. Un album che passerà alla storia e che traccerà il solco per il rock e l’hard rock. All Your Love apre l’album e Clapton marchia subito il disco con il suono della sua chitarra suonata al massimo del volume come fosse un live, Hideaway, brano strumentale soul-boogie decisamente datato, nelle loro mani diventa un qualcosa di esplosivo, martellante, dove la chitarra di Clapton esegue un assolo continuo e distorto per tutta la canzone. Little Girl è il primo contributo inedito di John Mayall, forse oggi un po’ appesantito dal passare del tempo, Another Man è un blues vecchio stile, dove l’armonica di Mayall danza da sola sorretta solamente dal battito delle mani. Double Crossing Time, slow blues vero, dove la voce di Mayall è sincera e accorata, e Clapton sembra non conoscere limiti, What’d I Say, è un classico di Ray Charles anni ’50, reso unico e più rock dalla band, grazie sopratutto al suono dell’hammond e l’immancabile suono distorto di Clapton che accenna Day Tripper dei Beatles. L’assolo di batteria in questo brano è qualcosa di innovativo che farà seguaci negli anni a venire, i Led Zeppelin sapranno sfruttare questi momenti. Il Lato B si apre con Key To Love, inedito di Mayall che strizza l’occhio ai Rolling Stones, Parchman Farm brano di Mose Allison stravolto completamente dal duo che ci da dentro con tutta la grinta possibile, e l’armonica di Mayall raggiunge alte vette, Have Your Heard, parte con un intro di sax dal sapore jazz: è una elegante canzone d’amore che rimanda alle vecchie origini blues. Ramblin’ On My Mind di Robert Johnson è la canzone simbolo del blues, dove Clapton tira fuori tutto se stesso senza risparmiare nulla, Steppin’ Out strumentale che suona come un pezzo dei Deep Purple, decisamente avanti per l’epoca. Il disco si chiude con It Ain’t Right, vecchio classico rockabilly, dove la band chiude al meglio il loro disco capolavoro che darà il via ad un lungo percorso che segnerà una intera generazione e non solo.