Muddy Waters più di ogni altro bluesman ha contribuito, con la sua band storica, all’evoluzione che dal blues porta al rock ‘n’ roll. Ne è stato un vero punto fermo e pioniere, ma non tutti i pionieri spesso raccolgono quello che hanno seminato. Siamo a metà degli anni ’50, ed il bluesman viene offuscato da personaggi come Chuck Berry ed Elvis Presley, Muddy accusa il colpo, vive periodi di alti e bassi che lo porteranno pian piano nel ’56 a non suonare quasi mai la chitarra nei suoi concerti in pubblico, lasciando alla band tutto l’onere della parte strumentale. La sua stella andava lentamente spegnendosi, ma nel ’58 arriva la svolta: gli viene offerta la possibilità di fare un tour in Inghilterra. Gli inglesi sono abituati al blues acustico in quegli anni, Muddy invece ha elettrificato il suo suono, e dopo il primo concerto si ritroverà su tutte le prime pagine dei giornali. Il pubblico inglese dovrà fare i conti con qualcosa che di lì a poco stravolgerà il loro mondo: il blues elettrico. Finalmente anche in America riscoprono il suo fascino, siamo alla fine degli anni’50 e Alan Lomax organizza una rassegna musicale con l’intento di raccontare l’evoluzione della canzone popolare americana, mettendo insieme artisti blues, folk, e gospel. La Chess Records, intuisce le potenzialità del pubblico bianco del folk come destinatario della musica nera, è il primo passo verso un qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Muddy così, spinto anche dalla casa discografica, torna alle origini del blues prebellico, quello senza le contaminazioni urbano-industriali, e realizza un disco che oggi potrebbe essere tranquillamente chiamato “unplugged”. Questa scelta, in questo suo momento storico, sarà per lui vincente: sta attraversando un periodo sia artistico che personale molto altalenante: nel giro di pochi mesi perde il padre, lo zio e la figlia che muore per overdose. Quale miglior momento per ridurre la sua band all’essenziale e sedersi di fronte al suo pubblico, cantando in maniera intima e sincera le sue emozioni. Il disco è composto per la quasi totalità da brani originali. My Home Is In The Delta apre l’album, e Muddy la canta in maniera intensa e nostalgica, Long Distance, con le stesse note di apertura della slide guitar, sembra sottolineare il fatto che il brano ricalca lo stesso tema nostalgico della prima traccia, come fosse un solo ed unico flusso di emozioni. My Captain ha il sapore vero di un brano in puro stile rural-blues, mentre Good Morning Little School Girl, con il suo ritmo trascinante ed il tema trattato, sembra rimandare ai primi anni ’50 rockabilly. You Gonna Need My Help, riporta l’atmosfera alle radici dei vecchi blues. Cold Weather Blues apre il lato B, senza batteria, il bluesman lascia che la chitarra risponda in maniera libera alla sua voce, come in un dialogo intimo e sussurrato, Big Leg Woman, dipinge un’immagine di una donna “morbida”, ma buona, che non bada troppo alla propria persona, una vera “big mama blues”. Country Boy rimanda ancora una volta alle sue origini, e forse alle sue esperienze sentimentali giovanili, e guarda caso ritorna la chitarra slide, con una apertura che assomiglia molto ai brani precedenti che trattano lo stesso tema. Feel Like Going Home chiude il disco ed il cerchio: Muddy Waters, come quasi in un moderno concept album, fa pace con il passato, ora può guardarlo dritto in faccia in tutta la sua realtà, a volte crudele, dichiara che tutto quello che aveva un tempo è soffiato via. In tempi stanno cambiando, e questo disco crea un ponte immaginario ma ben saldo, tra il blues ed il folk, che di lì a poco entrerà come uno Tsunami nelle classifiche e nelle orecchie americane, grazie ad un menestrello che apprenderà la lezione dai suoi padri bluesman: Bob Dylan.

CRISTIANO SACCHI