di CRISTIANO SACCHI 

Due incidenti ad undici e sedici anni, gli feriscono prima l’occhio sinistro e poi quello destro. La vista del giovane Sonny Boy è compromessa per il resto della vita, proprio a lui, che sognava di avere una fattoria tutta sua, ma ormai non può più lavorare, e l’armonica è tutto quello che ha. A lei non importa se lui è cieco, l’importante è che la sappia suonare. “Non uscivo più di casa perché mi vergognavo. Pensavo solo a suonare la mia armonica, notte e giorno. Sarei morto senza l’ armonica. Era l’amica a cui non importava niente se ci vedevo oppure no. Fino a diciott’anni non avevo mai sentito un blues. Ma era come se fosse già parte di me prima di conoscerlo. Il blues mi dava lo spazio per esprimere i miei sentimenti”. Saunders Terrell, in arte Sonny Boy, nasce a Greensboro in Georgia nel 1911. Il padre, mezzadro è anche il suo primo maestro di musica. Suona anche lui l’armonica ed è in gamba: riusciva a suonarla addirittura senza usare le mani. Al piccolo Sonny basta poco per innamorarsi di questo strumento, e grazie al padre impara il suo primo pezzo, Fox Chase. Ad undici anni suona già nelle chiese, ma il blues entra nella sua vita a diciott’anni, dandogli la forza di uscire di casa e andarlo a suonare in giro, per le strade, seguendo i medicine show o vicino alle piantagioni e alle manifatture di tabacco quando gli operai si fermano dopo il lavoro per ascoltarlo. Su quelle strade, conosce un sabato pomeriggio Blind Boy Fuller, che rimane affascinato dal suo stile. Il bluesman, gli propone di seguirlo a Dhuram per incidere un disco insieme a lui. Nel dicembre del 1937, Sonny entra per la prima volta in studio per accompagnarlo e parteciperà alle sue registrazioni fino alla morte prematura di Fuller nel 1940. E’ proprio in questi anni che crea il suo stile : Sonny piega le sue note alle inflessioni blues e le fa scivolare come i chitarristi più abili, e con una tecnica percussiva tutta originale riscopre la valenza ritmica del suo strumento. Non c’è soltanto lo studio che lo aspetta, ma addirittura il palco della Carnegie Hall di New York: è infatti il protagonista di uno storico concerto, “From Spirituals to Swing. An Evening of American Negro Music”. Sarebbe dovuto andarci insieme a Blind Boy Fuller, che nel frattempo si è fatto arrestare, così l’onore tocca soltanto a Sonny. Ma è ancora per le strade di Dhuram che fa il secondo incontro della sua carriera musicale. Sonny, una volta rimasto “orfano” di Fuller si unisce al chitarrista Brownie McGhee, per un sodalizio che ha inizio nei primi anni ’40, fino al 1982. Le linee di chitarra a singole note di McGhee, sono il complemento perfetto per lo stile di Sonny Terry. Il duo, anche grazie all’amicizia con Woody Guthrie, sono molto attivi tra il gruppo dei folksingers bianchi e la scena r&b di Harlem. Siamo alla fine degli anni ’70, il duo inizia a sfaldarsi sotto il peso del tempo e di qualche dissapore, così nel 1982 le loro strade si dividono, ed è qui che entra in gioco Johnny Winter. Sonny si rivolge proprio a lui per produrre uno dei suoi album più elettrici, è una sfida per Winter, che grazie al suo intuito riesce a sfornare una vera pietra miliare del blues: l’armonica è in grande spolvero, non è mai stata così ruvida e tesa, e i vecchi classici blues rivivono come nuovi. Whoopin’, è questo l’album che lo consegnerà al mito. Il suo grido, il suo ululato in falsetto, il suo whoop, risuona in tutto il disco, più fiammante e irresistibile che mai. Anche nei shuffle più lenti, come I Got My Eyes On You, Burnit Child e I Think I Got the Blues riesce a mantenere sempre la tensione. La sua armonica diventa rocciosa in Roll Me Baby, e nei tempi veloci diventa inarrestabile. In brani come Sonny’s Whoopin’ the Doop, sgomma come una furie serie dando prova di tutto il suo talento e furore. Alla veneranda età di settantatrè anni e dopo quasi sessant’anni di carriera, Sonny Terry da vita a una della sue prove migliori, con un concentrato di energia come pochi. Alla faccia del tempo e dell’età. Go Sonny Go!