di CRISTIANO SACCHI

 

Associated Press, lunedì  mattina ore 7 del 27 agosto 1990: Un elicottero si è schiantato a East Troy, Wisconsin. Cinque vittime, tra cui un musicista”. Alle 9.30 la notizia è completa: Stevie Ray Vaughan è una delle vittime dell’incidente. Alle 11.30 il manager di Clapton conferma la notizia. 

Vaughan aveva preso quell’elicottero la sera prima, dopo il concerto dedicato a Robert Johnson in cui aveva suonato con Eric Clapton, Robert Cray, Buddy Guy e il fratello Jimmie. La sua morte senza dubbio è stato il colpo più duro della musica dai tempi dell’incidente aereo accorso a Buddy Holly e Richie Valens ben 31 anni prima.

Stevie Ray nasce a Dallas il 3 ottobre 1954, ma già nel ‘66 stupisce per il suo talento con la chitarra. E’ il 1967, quando ascolta Purple Haze di Jimi Hendrix: è la folgorazione. I suoi idoli, sono in primis Hendrix per l’appunto e Albert Collins. La sua prima band, i Brooklyn Underground, si fanno le ossa suonando regolarmente nei locali della zona. Dal 1968, Stevie suona per i Southern Distributor, e dopo aver suonato per un’po’ il basso nei Texas Storm, cambia numerose band fino al 1971 quando entra far parte dei Blackbird, per poi tentare nel 1972 la strada di Austin. Solo nel 1975 Clifford Antone aprirà in città il mitico night club “Antone’s, the Austin house of blues”, dove finalmente i fratelli Vaughan metteranno in risalto le loro qualità di bluesman. Mentre il fratello Jimmie è ormai affermato, Stevie suona con i Nightcrawlers e poi con i Paul Ray & The Cobras, per poi fondare i Triple Threat Revue. Il gruppo, però, prende la sua forma definitiva solo nel 1981, con l’arrivo di Chris Layton alla batteria e con il ritorno di Tommy Shannon al basso. La fortuna inizia a girare dalla parte loro: il manager della band, riesce a farli suonare in un party privato dei Rolling Stones, e subito Mick Jagger segnala il chitarrista a Jerry Waxler, che lo spedirà come outsider al festival di Montreux. Da quel momento per Stevie Ray si aprono le porte del paradiso: David Bowie lo vuole con se per registrare il suo nuovo disco Let’s Dance, mentre il cantautore Jackson Browne, gli regala tre giorni nei suoi studi per registrare il demo di Texas Flood. Il disco “demo” arriva nelle mani di John Hammond, che non si lascerà scappare l’occasione.

Texas Flood è stato registrato in 72 ore negli studi di Jackson Browne, durante il weekend del ringraziamento nel novembre 1982. “Gli studi Down Town erano molto grandi, ma noi ci siamo messi in un angolo per stare tutti vicini e suonare come facevamo dal vivo. Il primo giorno, in pratica, ci siamo ambientati, senza combinare nulla, mentre dal secondo giorno in poi abbiamo registrato due canzoni e otto l’ultimo” (Tommy Shannon). Il 13 giugno, il disco esce nei negozi e venderà subito quasi mezzo milione di copie, un risultato mai raggiunto per un disco di blues.

Il lato A si apre con Love Struck Baby, feroce rock’n’roll alla Chuck Berry scritto per la moglie, si prosegue con Pride and Joy il suo brano più famoso. Texas Flood, è uno slow blues, dove la voce di Stevie si alterna alla chitarra dal suono sempre grasso e compatto nelle sue mani, con un solo in stile Hendrix che lascia senza parole. Tell Me è il tributo ad uno dei suoi idoli: Howlin’ Wolf, mentre Testify rende omaggio, alla sua maniera, agli Isle Brothers. Il lato B si apre con una scarica di energia: Rude Mood, quattro minuti di rock pressante, come un treno indemoniato la sua chitarra macina note senza mai fermarsi. Si passa alla più distensiva Mary Had a Little Lamb, cover di Buddy Guy, per atterrare su un altro slow blues ricco di sfumature, dove la chitarra viene suonata in modo del tutto particolare. I’m Crying, altro suo inedito, ricalca molto lo stile di Pride and Joy. Mentre a chiudere il disco è un delicato pezzo dedicato alla moglie: Lenny.

“Man mano che passano gli anni tutti ci rendiamo conto di quanto ci manca e di quanto sia stato grande!”

(B.B. King)