Come l’Olimpiade storicamente interrompeva gli eventi bellici così l’Europeo di
calcio dovrebbe improvvisamente farci dimenticare quanto c’è a monte. Cioè la crisi
di sistema, evidenziata dal velleitario balzo in avanti della Superlega, di conti
economici che non quadrano più e che, se letti con la mannaia del’istituzione
determinerebbero, hic stanti bus il fallimento del sistema attualmente a regime. Ma
del resto anche questo maxi-evento contiene in nuce tutte le contraddizioni possibili
e immaginabili. La prima è una durata. Non c’è mai stato un campionato europeo
che sia durato un mese, occupando militarmente un bel pezzo d’estate del vecchio
continente. Neanche l’Olimpiade ha mai osato tanto. Se un Europeo dura un mese
quanto dovrebbe durare un Mondiale? La filosofia è quella del business: più partite,
più fasi, più incassi per compensare il parziale ripopolamento degli stadi per un
affare il cui fatturato è previsto in 1,6 miliardi. Ma il sottotesto è preoccupante visti i
recenti crescenti appetiti dei giocatori e dei procuratori, un grado zero irreversibile.
Pensiamo a una sola conseguenza sul calcio mercato. La crescita di quotazione di
professionisti che si metteranno maggiormente in luce nel torneo e vedranno
crescere esponenzialmente la proprio quotazione. Premesso che non è tanto sport
quanto business, la nazionale di Mancini si affaccia con le credenziali di outsider al
campionato. Sicura di interpretare un ruolo dignitoso che non è quello di favorita e
con qualche incertezza sui ruoli di attacco. L’immagine che ci viene propizia è quella
di fare bella figura, ospitando in casa (come altre dieci nazioni) una discreta fetta
dell’evento. Se poi saranno..Notti magiche sarà il campo a decretarlo. Quello che è
certo è che dal 12 luglio 2021 riprenderemo a parlare di crisi e di problemi insoluti
per un mondo che non vuole sapere di auto-ridimensionarsi e vive in una
dimensione auto-referenziale.
DANIELE POTO