di DANIELE POTO

C’era una volta il Giro d’Italia, ne rimane solo una pallida caricatura. Oltre allo
stravolgimento di tappe previste sul suolo francese (immaginabili e non scongiurate
in tempo) ieri l’organizzazione ha toccato il fondo andando incontro a un
ammutinamento sindacale dei corridori che si sono rifiutati di disputare una tappa
placida ma lunga dopo un debilitante tappone alpino. Vogliamo scommettere che
Mauro Vegni nel 2021 non sarà più il direttore di corsa della creatura Rcs? Non vi
aspettate autocritica sulle pagine della Gazzetta dello Sport o dai microfoni della Rai
che è partner dell’evento, per comprensibili ragioni di cassette. Ma si è verificato
qualcosa che mai accadrà al Tour o alla Vuelta il cui cast spicca per superiorità
rispetto a quello della classica corsa italiana. Lo sciopero bianco di ieri è andato ad
imitare il comportamento ben poco aggressivo dei corridori in tappe che dovevano
fare la differenza ed hanno invece registrato una atipica non belligeranza. Alle
critiche istituzionali si aggiungono i lamenti tecnici per la dèbacle completa degli
italiani. La terza settimana di Giro doveva sancire la riscossa di Nibali e invece ne ha
certificato il declino. La meteora Pozzovivo (37 anni) si è spento alla prova della
verità mentre altre forze in campo (tantomeno giovani) non si sono viste. La
stagione di Viviani è decisamente cancellabile così come la reale caratura tecnica di
corridori come Ulissi, Formolo, Trentin. Protagonisti per un giorno, ai ripetutisi con
continuità. Se dobbiamo pescare il migliore da un mazzo non esaltanti di prestazioni
dobbiamo citare Masnada: compreso nei top 10 e costretto a non eccedere perché
gregario di una formazione con un capitano ben identificato. Aggiungiamo al quadro
l’eclissi di Aru e avremo la fotografia di un ciclismo italiano in irreversibile declino
nonostante le dichiarazioni di facciata del citì della nazionale Davide Cassani.