Questo Wimbledon 2023 ha dato dei verdetti ben precisi, al di là dei risultati. L’avvicendamento definitivo sul trono ATP tra lo spagnolo Alcaraz e il serbo Djokovic è solo la punta dell’iceberg del significato vero che i prati londinesi hanno saputo sentenziare. Innanzitutto un ricambio generazionale definitivo: le lacrime del 36enne Djokovic, guardando il proprio piccolo pargolo in tribuna, sono emblematiche dello sforzo fisico ed emotivo a cui il campione serbo è stato sottoposto, e forse derivano dalla consapevolezza che, per l’età e la voglia di allenarsi sempre con la stessa intensità, il sogno del Grande Slam resta tale e di difficilissima attuazione. Perché la concorrenza più agguerrita ha semplicemente 16 anni e passa di meno, e non è poco quando si gioca tre set su cinque da un decennio di fila. Le fatiche aumentano e forse la voglia di stare lontano da casa, per uno che ha vinto tutto o quasi, diminuisce. Bisogna anche considerare come sia cambiato l’approccio tecnico al tennis in generale: si vedono sempre meno giocatori che “battono e scendono” (serve and volley) e sempre più giocatori che, con due colpi (servizio e per lo più dritto) finiscono il punto, e d’altronde se uno come Alcaraz ha vinto Wimbledon attaccando la rete ben poche volte in partita ci sarà un perché. Grande scatto, grande preparazione fisica, un danzatore in campo: Alcaraz ha tutte queste qualità, oltre a pressare bene da fondo campo e a passare con facilità quei pochi avventurosi tennisti che ancora credono nello spettacolo e nella bellezza estetica di una volèe. Intendiamoci, lo spagnolo ha vinto il torneo con merito, è il primo del ranking con altrettanto merito, ma se pensiamo che la nostra generazione ha avuto a che fare con numeri uno come Becker, Sampras, Agassi, Mc Enroe, Edberg, Kafelnikov, Rafter, Safin, Kuerten, Federer, Connors e via dicendo, ci vengono i brividi di freddo. Anche il suo coach, l’altro iberico Ferrero, è stato numero 1 del mondo per otto settimane, ma la sensazione è che Alcaraz lo sarà per più tempo rispetto al suo mentore. Fondamentalmente perché non ci sono più giocatori di classe ma semplici branditori di clave tennistiche, basta guardare le loro impugnature. Gli italiani meritano un capitolo a parte: Sinner fa (bene) quel che può ma la sensibilità di braccio non si compra al supermarket, e le difficoltà nel gioco di volo sono vistose ed emblematiche di un giocatore fondamentalmente incompiuto. Anche Berrettini, che sembra (facciamo gli scongiuri) essersi ripreso bene, in definitiva senza il suo schema di servizio e dritto perde più del 50% della sua efficacia. Sonego gioca, lotta ma ha meno potenza e meno mezzi tecnici di Musetti che oggi è forse il giocatore italiano più completo e più bello a vedersi. Basterà per vincere uno Slam? Nel maschile siamo ancora fermi a Panatta (Roland Garros 1976) ma anche nel femminile, dopo la sbornia di Schiavone e Pennetta, passerà del tempo.

Andrea Curti