ROMA – C’è una cifra e un punto su cui tutti gli italiani potrebbero trovarsi d’accordo. L’imbarazzo, il fastidio, in qualche caso (di parte) la rabbia per la presenza di 600.000 stranieri clandestini nel nostro territorio. Indubitabilmente esseri umani ma anche rappresentanti di illegalità diffuse, commesse in patria e reiterate nell’ex Bel Paese. Il contraltare negativo di sei milioni di stranieri comunitari ed extra-comunitari, integrati nei nostri usi e costumi, non necessariamente nella nostra religione, fornitori di Pil, pagatori di pensioni italiane. A qualcuno si dovrà pur attribuire la colpa per questo universo brulicante e produttore di reati grandi e piccoli soprattutto perché con l’attuale ritmi di rimpatrio, conti alla mano, occorrerebbero più di 90 anni, per disfarsene, stante l’assenza di protocolli articolati con i Paesi che più forniscono volontariamente o no all’Italia manodopera delinquenziale. Chi se la prende la colpa? Nella demagogia della politica tutti rifiutano l’attribuzione, confusi in una melassa di buonismo che non fa bene alla collettività. Se cosa fatta capo ha ora bisogna preoccuparsi di cancellare quella bassa media di rimpatri che caratterizzano l’attuale trend. Al momento solo 18 clandestini al giorno riprendono la via di casa. Escludiamo dal conto i rom stanziali che da qui non intendono spostarsi (e qui le opinioni divergono, perché toccano un nervo vivo dei residenti che si trovano a coabitare con queste minoranze). Il compito è inevitabilmente di Salvini che alle parole dovrà far seguire i fatti, sia come Ministro dell’Interno che come vice-premier che ha certificato nel contratto di governo questa precisa intenzione. Se non ci riuscirà il suo agitarsi sui migranti sarà solo demagogia. Perché i minuti sbarchi di poche decina di persone non mutano il quadro preesistente, il vero reale problema dell’emigrazione. Il focus sono quei 600.000 confusi e poco perseguibili in mezzo a 61 milioni di italiani.

 

DANIELE POTO