ROMA – Johanna, I love you, you are the one, the one for me…“: la Kool and the Gang aveva previsto nel 1983 che un giorno qualche dolce donzella avrebbe ingentilito un tennis così monotono come quello femminile. Adesso quel giorno è arrivato. Perché la prima giocatrice a raggiungere la finalissima al Foro Italico è stata la 27enne inglesina Johanna Konta, di nascita australiana da genitori ungheresi, che dal 2006 vive ad Easbourne divenendo cittadina britannica nel 2012, 48 anni dopo la connazionale Virginia Wade (che poi vinse Roma  nel 1971). Avendola vista tutta la settimana quello della Konta è un risultato che non ci sorprende, al di là della differenza di classifica con la sua avversaria nei quarti (4 l’olandese Bertens, 42 l’inglese); sempre presente mentalmente in partita, la Konta, così come contro l’americana Stephens (8 del mondo) al secondo turno, ha vinto in rimonta dopo aver perso la prima frazione di gioco anche piuttosto stranamente, visto che la ragazza di Sydney era andata prima avanti di un break (3-1) e poi aveva servito per il set sul 5-4 in suo favore. Ma la Bertens,che sulla terra rossa aveva vinto 12 degli ultimi 13 incontri (vincendo a Madrid e perdendo solo dalla Kvitova a Stoccarda), non si è piegata ed ha controbreakkato subito la tennista inglese a zero; la nuova tattica della Bertens, che cercava lo stretto sul rovescio della Konta costringendola al back piuttosto che al bimane, le consentiva di avere la meglio nello scambio e di chiudere la prima frazione al dodicesimo game. Immediato break e controbreak ad inizio di secondo set molto equilibrato, con l’olandese che si è trovata 5-4 30 pari, ossia a due punti dal match, ma la Konta piazzava un parziale di 9 punti a 2 che le permetteva di pareggiare il conto dei set. La terza frazione ha avuto un andamento contrario alle aspettative, nel senso che nonostante la Konta nei turni precedenti fosse stata in campo parecchio (1 ora e 30 con la Riskie, 2 ore e 33′ con la Stephens, 1 ora e 55 con la Vondrousova) rispetto alla Bertens che si era riposata per il forfait della Osaka, la tennista britannica era molto pimpante a tal punto da apparire più fresca della sua avversaria. Così i break al terzo e settimo game (quest’ultimo a zero) sancivano il successo della Konta dopo 2 ore e 52′ di buon tennis, soprattutto da parte della tennista anglo-australiana che quest’anno, smentendo i passati buoni risultati sul cemento (semifinali a Wimbledon 2017 e Us Open 2016) che l’avevano portata al numero 4 del mondo nel 2017 perimetrando la sua attitudine solo alle superfici veloci, ha iniziato ad avere buoni riscontri anche sulla terra rossa, come testimonia la finale a Rabat di due settimane fa e ora la finale, ben più importante, del Masters 1000 di Roma. Certo, il suo gioco è comunque da veloce, ossia buon servizio, colpi sempre in anticipo e possibilmente vincenti, e poi salta come un grillo, in grande condizione fisica, con varianti tecniche interessanti, tipo il drop-shot. Insomma, contro la ceca Pliskova, la Konta si gioca una buona fetta di carriera. Dal canto suo la seconda finalista, appunto la glaciale ceca Pliskova, alla 25ma finale in carriera e numero 5 del mondo, parte con i favori del pronostico, non soltanto per la miglior classifica ma anche per la sua attitudine a certi livelli (vedi finale Us Open 2016 e Miami 2019, semifinali al Roland Garros 2017 e agli Australian Open 2019). La 27enne tennista ceca ha fatto fuori con un duplice 6/4 la quadrata ateniese Sakkari, alla settima partita in otto giorni provenendo dalle qualificazioni di sabato scorso e reduce, la greca, dal successo sulla terra marocchina di Rabat. Il match ha vissuto sulle fiammate della ellenica, fisicamente incontenibile in alcuni tratti quanto ingenua in altri, e sulla pazienza della Pliskova che, per vincere sulla terra rossa (per lei prima di Roma solo una partita vinta su tre), ha ingaggiato l’indimenticabile Conchita Martinez, l’iberica che a Roma s’impose per quattro anno consecutivi dal 1993 al 1996. Gli aggiustamenti tecnici della Martinez sono stati preziosi per la ceca, partita male, ovvero 4-2 Sakkari e 15-30 sul servizio Pliskova; poi match sospeso pochi minuti per la pioggia e al rientro ecco la nuova tattica da seguire stile Boncompagni con Ambra: a favore di vento usare di più la rotazione, controvento palleggiare più profondo. E la greca è andata in bambola, come testimonia il parziale di 5 giochi a zero susseguenti. La Pliskova, nel secondo set, è stata brava ad annullare un break point nel secondo gioco, un po’ meno a capitalizzare le due palle del 4-2 ma quando contava chiudere i conti, ovvero al decimo game, la Sakkari si ammirava con orgoglio le forme da statua della Pallacorda mentre la sua rivale le strappava la battuta e la mandava a casa. Insomma, la finale Konta-Pliskova sarà match da veloce, con la Konta che attaccherà su ogni palla e la Pliskova che sarà diretta magistralmente da Conchita. In ogni caso domani Roma avrà una nuova tennista da iscrivere nell’Albo d’Oro.

Andrea Curti