Il furbissimo neo-eletto “ottavo Re di Roma” sa come conquistare tifoseria, piazza e
giornali. Il suo “Daje”, contro il quale si è scontrata la difficoltà di traduzione di Sky
International, riassume già il personaggio Mourinho. La mossa dei Friedkin ha
destabilizzato gli esperti di mercato che fino a qualche ora prima congetturavano il modulo
di Sarri e hanno dovuto attuare una precipitosa marcia indietro riconvertendo le
aspirazioni della Roma su Mourinho. Il calcio è un mondo che ha bandito il problema
del conflitto d’interesse (v. cointeressenze di Berlusconi) ma vale la pena notare
che il procuratore di Mourinho è Mendes, cioè lo stesso interlocutore con cui la
società giallorossa dovrà fare i conti per l’acquisto di alcuni giocatori a cui il neo
tecnico tiene in modo particolare. E la sovrapposizione non è proprio ininfluente.
Mourinho rinnegherà l’apologo dei “zero tituli” proprio rivolto al club di Trigoria e
dovrà in un certo modo rivoluzionare un assetto difensivo che ha mostrato chiari limiti
nella sfida con il Manchester e, più in generale, tutte le sfide con le grandi del
campionato: sfide tutte regolarmente perse o al massimo pareggiate. Il dato
generale della campagna di rafforzamento (o di indebolimento) della Roma negli
ultimi anni registra una precisa costante. Dar via i giocatori in ascesa (vedi Salah) per
acquisire giocatori anziani o in declino, scartati o sacrificati da altri club (come
Smalling, lo stesso peraltro dignitosissimo Dzeko). La difesa che ha incasso otto gol
nella semifinale di Coppa non offre garanzie. Cristante non è un difensore puro,
Ibanez alterna alti e bassi, il portiere titolare idem. Una squadra valida dalla cintola
in su ma che è frutto di investimenti contraddittori, di scelte poco chiare. Mourinho
apporta un carisma leggermente offuscato dagli ultimi esoneri. Ma l’Italia sembra il
posto giusto per rigenerarsi anche se la Roma nel ranking ha davvero e anche in
prospettiva molte squadre davanti a sé.

DANIELE POTO