La svolta messianica in una brochure. I 3 giorni che hanno cambiato la storia dei rapporti tra capitale e lavoro e messo in riga i sindacati, raccontati dal filosofo francese Gregoire Chamayou nel suo La societé ingouvernable: une genealogie du liberalisme autoritarie. Nel suo complesso, il saggio traccia l’evoluzione delle modalità di governo, interne ed esterne, delle imprese, al tempo dell’ascesa del neoliberismo. Un “liberismo autoritario” che s’invera nella duplice dimensione di una incessante difesa della privacy della governance del mondo imprenditoriale (sul modello dell’autoregolamentazione del mercato) e del rafforzamento dello Stato chiamato difendere la libertà del mercato di fronte a una società civile che le si oppone sempre più, perché ne subisce ogni giorno gli effetti nocivi, che siano sociali, politici o ambientali. Il liberalismo diviene “autoritario”, spiega Chamayou, perché tende a ridurre le ambizioni democratiche della società civile a vantaggio del solo mercato, favorendo l’avvento di un regime veramente autoritario alla guida dello Stato. La tesi viaggia su un canovaccio analogo a quanto scritto da Bernard E. Harcourt ne L’Illusione del libero mercato, in cui riferendosi al periodo 1973-2009, segnato dall’ascesa della razionalità del mercato e del neoliberismo, e in parallelo da un aumento della popolazione carceraria americana (da 200mila all’1 per cento della popolazione adulta), l’autore rileva un rapporto tra l’idea di ordine naturale del mercato e la svolta punitiva della penalità neoliberale. Il pensiero economico, liberale e manageriale, dice Chamayou, ha forgiato la nostra episteme socio-economica contemporanea. E ha messo il sindacato nelle condizioni di non nuocere. A partire dalla metà degli anni ’70 viene creato negli USA, racconta l’autore, un nuovo profilo di consulente: the unions buster, vera e propria macchina da guerra forgiata dalle multinazionali per desindacalizzare le aziende e rompere, come scrisse la rivista Fortune nel 1971, “il potere monopolistico del lavoro”. “I sindacati: come evitarli, batterli e sbarazzarsene”, racconta l’autore, è il titolo di una brochure che dirigenti e manager delle più importanti aziende americane si ritrovano un bel giorno nella loro casella della posta: è un invito a un seminario di 3 giorni in un grande albergo. Per la svolta reazionaria, occorrono 2 profili-killer. Il primo, rileva Chamayou, è uno psicologo del lavoro: barba, camicia aperta, aspetto rilassato, che già da 20 anni collabora con mega aziende come Shell, IBM, Dupont e Texas Instruments. Il secondo è un avvocato newyorkese in divisa d’ordinanza: giacca e cravatta rigorosamente su misura. La destra e la sinistra neo liberale s’incontrano definitivamente dopo anni di corteggiamento, e non si lasceranno più. La fatwa si articola in 3 punti: come prevenire la sindacalizzazione, come combattere un’organizzazione sindacale in fase di formazione, come desindacalizzare un’impresa. La prima giornata del seminario è riservata allo psicologo industriale che insegna ai manager “come rendere superflui i sindacati”, creando loro “un ambiente ostile”. In che modo? Il lavorio comincia dalla selezione nei colloqui di lavoro, anche aggirando la legge che vieta di fare domande troppo dirette sulle convinzioni personali. “Cercate di sapere – dice il guru ai manager – se i candidati sono impegnati a favore di cause progressiste, aderiscono ad associazioni di consumatori o affittuari o promuovono attività che potrebbero rivelare simpatie per i sindacati”. Lo psicologo presenta ai manager un “sistema di allarme immediato di sindacalizzazione”. Si tratta di far riempire ai dipendenti dei test sulla personalità, ufficialmente destinati ad anticipare e risolvere eventuali problemi relazionali, che in realtà servono a stabilire un profilo psicologico della forza lavoro con l’obiettivo di valutare “la lealtà dell’impiegato” e a individuare i dipendenti più suscettibili di aderire a un sindacato. “Domandatevi – dice lo psicologo – quale dipendente sarà più vulnerabile e influenzabile se un sindacato busserà alla vostra porta. Saranno davvero tagliati per la vostra azienda? Forse staranno meglio altrove. Allora, licenziateli; sbarazzatevi di chi non ha spirito di squadra. E non abbiate rimorsi. E’ la vostra libertà che è in gioco”. Se non c’è il sindacato, avverte il guru progressista, “potete assumere chi volete, pagarlo quanto potete o volete, assegnarlo al compito che volete e licenziarlo quando lo volete”. E il fighetto della Grande Mela ce lo siamo dimenticati? A lui spetta di mostrare ai dirigenti come sabotare la costituzione di un sindacato, ritardare la convocazione delle elezioni, attuare ostruzionismo a oltranza fino al limite della legalità. Il gran finale è riservato alla strategie di desindacalizzazione: spionaggio delle riunioni sindacali, e soprattutto licenziamento dei leader seguendo unaparvenza di legalità, ma solo se si è preparato con grande anticipo il dossier rivelatore. Solo cioè, se il management avrà prodotto e preziosamente conservato degli archivi dettagliati di assenze, sanzioni o note di biasimo. In generale, dice l’avvocato, si tratta di preparare il terreno perché un licenziamento di un lavoratore sindacalizzato sia del tutto legittimo e dunque inattaccabile.
Pierpaolo Arzilla