La squadra di basket di Cantù ha licenziato tre giorni fa il suo miglior giocatore,
Robert Johnson, perché non si è voluto vaccinare ed è entrato nel lungo elenco dei
no vax. Regolare e giusto? Mica tanto e senza entrare nel merito del diritto/dovere
alla vaccinazione. Qui contestiamo l’ipocrisia dei regolamenti. Perché Cantù milita
nel secondo campionato nazionale che è considerato dilettantistico. Se fosse stato
tesserato per Milano, Brindisi o Trento, militanti nel campionato superiore, non
avrebbe avuto problemi e avrebbe potuto continuare a giocare senza essere
discriminato perché in quel torneo il super green pass non è obbligatorio. Nel suo
caso l’etichetta di dilettante è stato decisiva. Ma nel secondo campionato nazionale
di basket i giocatori sono dilettanti? Assolutamente no. Potete immaginare che un
giocatore americano abbandoni casa per venire a giocare in un campionato italiano
per dilettanti? Gli ingaggi per gli stranieri in questa seconda serie vanno dai 50.000
ai 300.000 euro (o dollari). Eppure l’ipocrisia istituzionale, tra Coni e Federazioni, li
relega nello status di amateur. Di qui la querelle che ha contrapposto Johnson alla
società provocandone il licenziamento nonostante il rango di miglior cannoniere del
girone rosso di A 2. Dopo due giorni Johnson ha firmato per la squadra polacca del
Legia Varsavia che questi problemi bizantini di steccato tra professionisti e dilettanti
non li ha mai messi. Approfittiamo per chiarire che anche nel terzo campionato
nazionale di basket i tesserati sono effettivamente dei professionisti. E persino nel
quarto sotto la formula di rimborsi spese i giocatori percepiscono dei compensi,
altrimenti non si spiegherebbe il mercato dei trasferimenti che pure ha una propria
vivacità. Il distinguo rimanda al dibattito più ampio che arriva a toccare l’Olimpiade?
Un evento riservato ai dilettanti? Ora non lo crede ormai più nessuno.
DANIELE POTO
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