Per ricordare il mito di Barletta e dell’Italia intera, a Passione Lazio è intervenuta Manuela Olivieri
Mennea, moglie del compianto campione olimpionico: “Pietro ha ricevuto un bellissimo tributo con
l’intestazione dello Stadio dei Marmi a suo nome. Un atto bellissimo in considerazione del fatto che
Pietro Menneai ne aveva fatto il luogo di allenamento, quando doveva correre allo Stadio
Olimpico.” aggiungendo: “Mennea aveva un sogno, la costruzione di un museo. Pietro ha sempre
sostenuto che dalle cose buone possono nascere cose migliori. Quando creò la sua Fondazione, il
primo desiderio era proprio quello di un museo. Mi sto battendo con tutte le mie forze, siamo vicini
alla realizzazione.”
Che persona era Pietro Mennea? “Mio marito soleva ripetere: Se l’ho fatto io può farlo chiunque!
Io lo prendevo in giro ricordandogli che non era un uomo normale, anzi, con un fisico, con il quale
tutto poteva fare tranne che il velocista, è riuscito a realizzare, nello sport, quello che altri non sono
riusciti a fare,”
Il mito Pietro Mennea continua imperterrito, partecipò alla sua prima Olimpiade nel 1972 per
chiudere con i giochi olimpici di Seul 1988. Una carriera strabiliante condita da record mondiale sui
200 m realizzato a Città del Messico nel 1979, ancora oggi è record europeo, “Pietro, oggi come
allora, è molto amato. Quello che lo ha contraddistinto è stata la vicinanza alle persone e non al
sistema. Mennea doveva correre per forza, doveva salvare il bilancio della Federazione. L’unica
cosa che lo ripagava era l’affetto e la gratitudine della gente. Pietro ha lottato e studiato, ha
ottenuto quattro lauree ed un diploma ISEF, sapeva che solo studiando poteva cambiare il
sistema.”
Qual era la considerazione Di Pietro all’estero? “Era adorato! Nonostante avesse smesso da tempo
di correre era adorato ovunque. Dalla gente più comune, come successe in Giamaica, al
governatore del Sinai in Egitto. In Grecia, nel 2002, per la promozione delle Olimpiadi di Atene
2004, con Pietro non riuscivamo ad andare in giro, molto più che in Italia. Ci accolsero con le
telecamere all’aeroporto, avevamo giornalisti e gente comune al seguito. Pietro non si capacitava,
finché gli spiegarono che nel 1977, dopo una gara vinta, scendendo dal podio, regalò la medaglia
d’oro a dei bambini, a bordo pista, in sedia a rotelle. Quel gesto, naturale per Pietro, fu ripreso da
tutte le televisioni del mondo e soprattutto in Grecia, rimase impresso nella mente di tutta la
nazione. Dopo 25 anni, quel comportamento era ancora nella memoria collettiva del popolo
ellenico.
Qual era il rapporto tra Carlo Vittori e Pietro Mennea? “Un rapporto tra allenatore e ‘atleta. Un
ottimo, uno splendido binomio, perché probabilmente si sono supportati a vicenda. Vittori ha avuto
la fortuna di trovare uno come Pietro che faceva tutto quello che diceva, anzi, anche di più. Però
non ha avuto la riprova perché quell’allenamento, Pietro l’ha sempre detto, andava bene solo per
lui. Fu provato ad essere applicato ad altri corridori, che però, a causa di quell’allenamento,
subirono infortuni. Anche Pietro ha avuto la fortuna di trovare uno come Vittori, che con una

metodologia completamente nuova, lo portò ad essere primatista mondiale. Quando Vittori, in giro
per il mondo, spiegava il suo metodo, gli veniva contestato dicendo che anche i loro atleti lo
avrebbero fatto in una settimana, lui ridendo, rispondeva: – questo Mennea lo fa in un giorno -.
Quello tra Mennea e Vittori è stato un binomio straordinario che poteva funzionare solo tra loro
due.
Cosa successe nella finale dei 200 m piani delle Olimpiadi di Mosca? “Da moglie ho chiesto a
Pietro; – Ma come ti è venuto in testa di alzare il dito? Sei arrivato primo per due centesimi! Lui era
arrabbiatissimo, in quella finale si è ritrovato in ottava corsia, mentre per i tempi sarebbe dovuto
stare in quarta. In ottava non aveva punti di riferimento, lui mi ha detto che quella gara l’ha fatta
solo su sè stesso, quella gara non l’ha vinta Pietro, l’ha persa Wells che si sentiva già appagato per
i 100 m, Wells è partito troppo veloce, Pietro mi ha detto di aver avuto il solo pensiero di
mantenere la sua velocità in modo costante. La gara è stata vinta per l’acido lattico sopraggiunto
nelle gambe degli avversari, partiti troppo veloci, e soprattutto per la grande testa e la forza di
volontà di Pietro Mennea. Pietro mi ha sempre detto che quella era una finale da vincere
assolutamente, era la sua terza Olimpiade e forse non avrebbe avuto altre possibilità.

MASSIMILIANO VIENNA