ROMA – “Io sono un campione questo lo so. È solo questione di punti di vista. In questo posto dove io sto. Mi chiamano Marco, Marco il ciclista“. Dopo le classiche nel Nord Europa si inizia a parlare di Giro d’Italia, Tour de France, Mondiali, ma i quindici anni senza di lui sono una ferita aperta, un coltello nella piaga, anche un caso irrisolto, e sopratutto uno sport senza gioia e con la voglia di ritrovare quei campioni, anzi quel Campione che non c’è più. Aver avuto la fortuna di vedere sfrecciare sulle strade francesi di montagna o sulle Alpi italiane Marco Pantani è un privilegio da raccontare ai nipotini quando sarà, se sarà, perché il suo ricordo non è semplicemente vita, è di più, è impresa, è lo sport nella sua essenza più pura, è scatto, emozionante e improvviso, fulminante e imprendibile, anche per una maglia rosa o una maglia gialla che non sia la sua. “E ora mi alzo sui pedali all’inizio dello strappo, Mentre un pugno di avversari si è piantato in mezzo al gruppo, Perché in fondo una salita è una cosa anche è normale, Assomiglia un po’ alla vita devi sempre un po’ lottare. E io dal passo del Pordoi chiudo gli occhi e vedo il mare“. Il mare di Cesenatico, da cui tutto è partito, una Romagna che ci ha dato il Pirata, osannato anche dai cugini d’Oltralpe al pari, se non di più, delle leggende della bici di tutti i tempi. Pantani era unico, il fuoriclasse non un fuoriclasse, ma si è lasciato un po’ andare. “Adesso mi sembra tutto distante, La maglia rosa e quegli anni felici, E il Giro d’Italia e poi il Tour de France, Ed anche gli amici che non erano amici. Poi di quel giorno ricordo soltanto, Una stanza d’albergo ed un letto disfatto, E sono sicuro di avere anche pianto.Ma sono sparito in quell’attimo esatto“. E noi con lui. Adieu Pirata, indimenticabile e indimenticata icona del ciclismo mondiale.
Andrea Curti
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