Complici le sole due medaglie d’oro conquistate all’interno di un bottino di
diciassette podi, l’Italia si è piazzata solo al rango n. 13 nella graduatoria ufficiosa del
medagliere olimpico invernale di Pechino 2022. Al di là delle dichiarazioni di facciata
del presidente del Coni Malagò, ottimista per la netta avanzata rispetto alle dieci
medaglie della penultima edizioni dei Giochi, non bisogna farsi troppe illusioni sul
futuro. L’Italia invernale manca di sicuri numeri uno, di leader capaci di arraffare un
sacco di successi e fa i conti con l’elevata anagrafe dei suoi maggiori protagonisti. E’
un fenomeno generalizzato l’avanzamento dell’età media nello sport globalizzato
ma le possibilità che qualcuno degli assi azzurri riesca a essere protagonista anche
tra quattro anni, quando organizzativamente ci spetterà il compito di organizzare i
Giochi di Milano, sono obiettivamente molto tenui. Il deludente Paris di Pechino
avrà 37 anni, cioè quanti ne ha l’altrettanto deludente Innerhofer oggi. Cioè appena
un anno meno di Fontana, Lollobrigida, Brignone, Pellegrino. Una legione di over 30
che fa apparire quasi giovane la Goggia che ne ha 29. Purtroppo non si è lavorato
efficacemente sui ricambi e in particolari sulle nuove leve che dovrebbero sostituire
i big. Tanto da catalogare tra i giovani Sala che ha 26 anni. E ci sono specialità che
alludono al deserto agonistico come la combinata nordica, lo slalom femminile, il
bob mentre lo slittino non sembra più la privilegiata riserva di cacciatori d’oro di una
volta. Lo slancio apparente dei Giochi di Torino 2006 non ha prodotto una vivace
semina di settore. Non è solo un problema di impianti. Tra l’altro il clima generale
non sembra dei più propizi. Ci riferiamo al litigio Goggia-Quario, alla voglia di
indipendenza della Fontana, delle strane designazioni nello sci dove un’errata
politica di qualificazioni ha ridotto al minimo il contingente azzurro.

DANIELE POTO