La strana grammatica istituzionale Renzi e Obama, un idillio solo per rafforzare il “Si”
Avevamo appena finito di scandalizzarci per l’endorsement per il “si” al referendum dell’Ambasciatore statunitense di stanza a Roma che il suo principale referente in patria, il presidente americano Obama, il più influente uomo al mondo, su mozione del nostro Presidente del Consiglio, ha bissato l’invito al popolo italiano, ribadendo quello che è il nostro ruolo dal 1945 in avanti: quello di colonia. Pensate se fosse successo il contrario. Cioè se Renzi avesse invitato il popolo americano a votare Hillary Clinton. Effetti sulla nazione? Nessuno. Le sfere di influenze sono diverse ma la propaganda politica sfruttata biecamente e cinicamente in un incontro d’affari dove la nazione, il Paese, avrebbe dovuto essere centrali e non la perorazione di un traguardo in fondo personale, in cui Renzi si gioca molta se non tutta la propria credibilità, suona evidentemente stonata. Un po’ di chiarezza istituzionale no? Renzi mette in campo in queste settimane di campagna il ruolo di Premier ma anche quello di segretario del Pd mentre dovrebbe recitare un ruolo neutro. Venti anni di Berlusconi hanno fatto capire quanto contino marketing politico, televisioni e media più in generale. Ora c’è un epigono con quaranta anni di meno, più aggressivo e convincente. Con delle battaglie in comune con il predecessore. C’è da convincere un 30% di italiani indecisi che non aspettano altro che di essere trascinati per la giacchetta e condotti sulla soglia del “si”. Con mance contenute nel Patto di Stabilità, con minacce che alludono alla possibile disgregazione dell’Italia: messaggi terrifici. Emotivi e non politici. E che evidentemente non contribuiscono a un sereno dibattito nel merito. Intanto è stato calcolato il reale risparmio con il “dimagrimento” (non la sparizione) del Senato: 57 milioni di euro. Praticamente, dividendo questa cifra per il numero degli italiani, il costo di un caffè.
Daniele Poto
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