di ANDREA CURTI

Da quando il WTA Tour ha raggiunto la parità di montepremi (almeno in alcuni tornei), le donne della racchetta mondiale sembrano avviate verso una integrata mescolanza con i colleghi uomini, integrata nel senso di una unica associazione professionistica che raggruppi tennisti e tenniste sotto la stessa bandiera. L’idea pare non dispiacere agli alti piani dell’ATP (ovvero al nuovo presidente Andrea Gaudenzi) e neppure ai tennisti più forti. Uno su tutti, Roger Federer, si è lasciato andare ad un commento piuttosto eloquente: “Possiamo uscire da questo momento difficile con una sola, forte, organizzazione, o con due organizzazioni deboli...”. La strada sembrerebbe dunque tracciata, addirittura alcune fonti parlano di un progetto di reunion avviato già da gennaio, quindi non accelerato dalla pandemia da coronavirus. Sta di fatto che dal gentil sesso non trapela nulla, almeno per il momento. Eppure, quando era una questione di soldi, era unanime il coro di sdegno (tra le donne) per la sperequazione economica in termini di premi con gli ometti, rimostranza sostanzialmente giusta quando si parla di professionismo. Altresì va detto che un primo o un secondo turno, per non parlare delle qualificazioni, di un qualsivoglia torneo femminile, rapportato all’equivalente turno di un torneo maschile, il più delle volte non vale il prezzo del biglietto inducendo piuttosto a sonnolenza killer, e non è una questione di sessismo, è un commento squisitamente tecnico. Idem per i combined event. Insomma, la questione ci terrà (forse) sulle spine sino all’ultimo. Ma è questo il vero problema del tennis mondiale?