di DANIELE POTO

La 31esima sconfitta consecutiva nei Sei Nazioni, il compimento di un’ottava
edizione senza vittorie, l’undicesimo cucchiaio di legno riscosso in ventidue edizioni
(il sesto consecutivo) sono il segno del totale disfacimento tecnico del XV azzurro del
rugby. Sono cambiati i tecnici, gli annunci, i tentativi di rilancio ma il risultato è
inderogabilmente certificato dal disastro di una squadra che in campo non avanza,
che commette falli stupidi, che manca di disciplina, che non ha meta man futuribili.
Così nell’aura del rimpianto per i Bergamasco, i Dominguez, i Parisse, che avevano
guidato versioni azzurre nettamente più forti, si attende come l’uomo della
provvidenza il nuovo presidente Marzio Innocenti, rappresentante del Veneto. A
certificare il grado zero di questo sport la percentuale di suffragi elettorali riscossa
dal presidente uscente Gavazzi, appena il 3%, la risposta democratica e popolare al
fallimento totale della sua politica sportiva. Qui vogliamo scrivere, fuori da ogni
infingimento, perché l’Italia rimane nel caos del Sei Nazioni pur essendo scesa al
15esimo rango del ranking mondiale, con l’ultimo maltrattamento sportivo subito
dal Galles (48 a 7, sette mete contro 1, 22-0 dopo 22’, poi un semplice allenamento
per i vincitori). Fa comodo disporre a piacimento di una squadra-materasso per
giustificare i propri successi, in più l’appeal commerciale dell’Italia vale ancora tanto,
a dispetto del valore tecnico della squadra azzurra. Come si potrebbe immaginarci
un rimpiazzo con la ben poco appetibile Georgia? La negatività del quadro generale
non risparmia colpe specifiche del tecnico Smith e dei suoi giocatori, alcuni dei quali
8canna, lo stesso capitano Bigi, non sembrano decisamente all’altezza di un
adeguato standard internazionale. L’Italia in possesso dell’ovale esercita uno sterile
controllo ma senza mai pungere e quando perde lo stesso viene facilmente infilzata
in contropiede da fughe di 50-60, dimostrando la propria totale insipienza difensiva.