A Twickenham, il tempio del rugby per eccellenza, è già un onore essere presenti a certe sfide; se poi i contendenti sono i Maestri della pallaovale, quelli che l’hanno inventata, allora la faccenda è ancora più seria. L’Inghilterra ha mostrato da subito i denti all’Italia e lo ha fatto in maniera cattiva, dopo la debacle interna contro la Scozia della settimana scorsa. Pressione da subito sugli azzurri, placcaggi a tutto spiano, dominio in touche e una mischia formidabile, al limite del consentito. Per la verità anche oltre il limite: le prime linee inglesi spingono spesso prima del fischio dell’arbitro neozelandese Doleman che in diverse occasioni lascia correre, così come lascia correre dei placcaggi alti, al collo, dei britannici e un continuo ostruzionismo verso i rugbisti di casa nostra. Arbitro casalingo, quindi, fin troppo pro-Inghilterra, specie quando estrae due cartellini gialli (ai danni di Cannone e Ferrari) senza mai punire gli inglesi, che tagliano le gambe all’Italia e consentono ai padroni di casa di allungare la contesa nel momento di loro maggiore difficoltà. L’Italia gioca con coraggio specie nei secondi quaranta minuti, anche con un pizzico di arroganza quando sullo 0-7 la squadra decide di cercare la touche invece di calciare in mezzo ai pali come suggerito urlando dalla panchina azzurra. Saremmo andati 3-7 mettendo pressione ai padroni di casa, peccato. Ma i lampi azzurri nella seconda frazione, ispirati dalle accelerazioni improvvise di Capuozzo e dalle conquiste di Ruzza, fanno ben sperare. Resta l’amaro in bocca per un punteggio, 31-14, che poteva essere meno pesante per gli azzurri, generosissimi e capaci in parte di riaggiustare il match. All’Italia è  mancata la continuità di gioco e quella fisicità, quella presenza agonistica che ha permesso agli inglesi di portare a casa un incontro giocato tecnicamente così così.

Andrea Curti