di DANIELE POTO

 

Dal buio della delusione dei mondiali 2010 al difficile spareggio con la Serbia a Belgrado per la qualificazione olimpica. Ma con un raggio di luce nel basket grazie alla nazionale dei sette esordienti che ha travolto una Russia egualmente rabberciata ma pur sempre buona potenza continentale. Con una gemma nel roster: l’esordio del diciassettenne brindisino Matteo Spagnolo. Pensate, che storia. Partito dalla Puglia dopo un biennio a Roma il ragazzino è stato richiesto dalla cantera del Real Madrid che lo ha parcheggiato nel quarto campionato spagnolo dove Spagnolo “viaggia” alla media di sedici punti a partita. Debutto bruciante in azzurro per questo baby dalla faccia pulita, impreziosito da un canestro alla Navarro. Nel quintetto base i quasi trentenni Ricci e Michele Vitali hanno guidato un manipolo di baldi giovani che fanno riflettere il citì Sacchetti sull’opportunità di richiamare in nazionale i veterani Datome (33 anni), Belinelli (34), Gallinari (32) con i quali la nazionale non ha mai vinto nulla, perdendo in casa con l’aggiunta di Hackett, Melli, Gentile perfino lo spareggio abbordabile con la Croazia nel 2016. Al contrario dall’altra parte della bilancia ennesima disfatta per Milano in caduta libera in Eurolega. Una maledizione sembra circondare questa squadra. E Messina risucchiato nel precipizio dopo aver sbagliato le scelte di Mack e White, aver puntato su anziani che non reggono i ritmi nel finale (Rodriguez 34 anni, Scola quasi 40, Micov 35, Cinciarini 34) e inserito come addendi giocatori come Sykes e Crawford, mattatori in provincia ma attualmente valore disgiunto più che aggiunto, nel combinato disposto negativo di una squadra molle che è riuscita ad inchinarci colpevolmente di fronte a una squadra russa che aveva perso consecutivamente nelle ultime otto trasferte. Il credito di Messina (allenatore e presidente, che assurdità!) sembra esaurito visto che il tecnico non offre spiegazioni e non sa più che a che santo votarsi, guidando (si fa per dire) una squadra imbelle e senza nerbo, che si perde invariabilmente nei finali di match.