ROMA – Veder piangere un ragazzone di 31 anni, che è stato numero 1 del mondo (novembre 2016), che ha vinto 46 tornei ATP di cui 3 Slam (doppio Wimbledon e 1 Us Open), due ori olimpici consecutivi (Londra 2012 e Rio 2016) e che è amato un po’ da tutti, colleghi e stampa compresa, non è piacevole. Andy Murray, scozzese di nascita (Glasgow) ma londinese di adozione, ha ammesso che il dolore all’anca destra è troppo forte per continuare a certi livelli, che si ritirerà forse già da lunedì, quando scenderà in campo agli Australian Open contro quel cagnaccio dello spagnolo Bautista Agut e saluterà (forse) baracca e burattini. Il suo sogno resta di chiudere la folgorante carriera nel suo stadio, nel tempo di Wimbledon, ma sopportare un dolore forte e persistente per altri sei mesi non sarà facile, anzi. Per la verità, lo scozzese, dopo l’operazione di un anno fa esatto, era rientrato nel circuito al Queen’s ma contro Kyrgyos è stata subito eliminazione. Poi ad Eastbourne le ha prese dal connazionale Edmund al secondo turno ed ha atteso quasi due mesi per tentare di riprendere. Ha giocato nel 2018 13 partite complessive, 7 vittorie e 6 sconfitte, vittorie soffertissime contro giocatori modesti come il romeno Copil, il cinese Zhang, lo yankee McDonald e l’aussie Duckworth. Camminava male il britannico, decentrato, storto, orrendo a vedersi. C’era da aspettarselo che l’operazione all’anca non avesse dato gli esiti sperati. E allora forse altra operazione più invasiva, per una qualità della vita migliore. E’ così giovane Murray che a 31 anni si può anche fare a meno di racchette e palline, la vita è lunga e la nouvelle vague del tennis inglese (Norrie, Edmund, ecc.) cresce bene, magari lui potrebbe dare il suo contributo. Lunga vita Murray. Ora o a giugno è uguale.

Andrea Curti