L’Italia è la nazione tennistica detentrice della Coppa Davis e in questi giorni sta gettando le basi per tentare di riconfermarsi. Ma la Coppa Davis nella nuova formula ha perso l’aura e il fascino della Coppa Davis di una volta. Si accusa Nick Pietrangeli di essere troppo critico verso il tennis moderno ma il novantenne ex campione ha la sua buona ragione nel dividere la storia della manifestazione in due chiarissimi solchi. C’era la Coppa Davis dei quattro singolari e del doppio che presentava l’insidia della trasferta e di un possibile arbitraggio avversario. E c’è quella di oggi, neutra e un po’ artificiale con soli tre punti a disposizione, con un girone di concentramento, con la rinuncia tattica dei big, stressati dal calendario. Così Sinner e Musetti, teorici numeri uno e due degli azzurri secondo il ranking, vengono esentati dall’impegno. Ed è il capitano Volandri che non li convoca, non solo loro che si tirano fuori dall’evento. E questo per non dar adito a già consumate polemiche. Sinnner in realtà dopo il successo nell’US Open si riposa a casa e farà una visita di cortesia alla squadra sabato prossimo. Noblesse oblige. Alcaraz non serve alla Spagna mentre Djokovic si mette a disposizione della Serbia. Se chiedete agli italiani di quale Coppa Davis si ricordino verrà fuori invariabilmente non il successo ultimo ma quello del 1976, consumate tra fiumi di polemiche, per la trasferta in Cile, soggetto a regime. Una dura battaglia per partecipare, una dura battaglia per vincere. Con Panatta, Bertolucci, Barazzutti e Zugarelli. Capitano Pietrangeli. E’ passato quasi mezzo secolo ma è un ricordo che non sbiadisce. Perché allora i migliori tennisti del mondo non snobbavano la manifestazione e la formula, pur impegnativa, era prodiga di emozioni. Anche in questo caso il consumismo sportivo e il profumo di business hanno cambiato le carte in tavola.
DANIELE POTO
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