Democraticamente, lo stesso trattamento a tutti: il serbo Djokovic, da numero 1 del mondo, pur senza brillare, ha alzato per la quinta volta il trofeo del Foro Italico (erano 5 anni che il suo nome non compariva nell’Albo d’Oro) rifilando lo stesso punteggio a Ruud in semifinale e a Schwartzman in finale (7/5 6/3), maturato peraltro nello stesso modo. Infatti il campione serbo è partito a rilento, o se volete Schwartzman, autore dell’eliminazione di Nadal nei quarti, è partito forte, con due break a favore: 3-0 per l’argentino, ma Djokovic, estremamente concentrato, ha ripreso subito lo svantaggio, ha avuto anche un set-point nel decimo game che Schwartzman ha annullato con un diritto incrociato vincente. Però poi, nell’undicesimo game, il sudamericano non ha retto la forza mentale del serbo che ha chiuso il set alla terza opportunità. Break e controbreak in apertura di seconda frazione, con Djokovic che manda il suo avversario sul 15-40 dopo un suo doppio fallo: ma il numero 1 del mondo è vigile, più presente nel match rispetto al suo avversario, piuttosto stanco e svuotato dopo le fatiche dei giorni scorsi (Nadal e Shapovalov soprattutto). Così accade che il serbo acceleri, vinca due giochi a zero e si issi 40-0 con la sua battuta. Al terzo match point, la pallacorda del serbo non pare irresistibile, però le game dell’argentino non girano più come prima, così arriva in ritardo e il suo diritto d’appoggio muore in corridoio. Dodici punti a due, dal 3 pari in poi, e Djokovic può alzare le braccia in cielo e scrivere “Roma grazie!” in un cuore sulla videocamera. Un Djokovic comunque non irresistibile anche oggi, come testimoniano i 26 errori non forzati, 18 col rovescio, bilanciati tuttavia dai 29 colpi vincenti. Ma tanto è bastato per vincere gli Internazionali d’Italia, segno che in questo momento di piena pandemia conta solo la preparazione fisica e mentale Invece è la prima volta per la romena Halep che ha usufruito del ritiro della campionessa in carica Pliskova per iscrivere il suo nome nell’Albo d’Oro in una edizione davvero noiosa, sicuramente falcidiata dagli infortuni (tre ritiri in campo) e dalle rinunce preventive (Barthy, Osaka, Andreescu, Serena Williams, Kvitova, Sabalenka e Keys, ossia sette delle prime sedici giocatori del mondo) e ravvivata forse soltanto dal ritorno della Muguruza (che ha stoppato la teen Gauff, una da tener d’occhio) e della Azarenka, finalista agli Us Open, che non ha avuto paura di prendere l’aereo da New York per arrivare a Roma. Nella Città Eterna. La stessa a cui qualcuno vorrebbe scippare la sacralità degli Internazionali d’Italia.

Andrea Curti