A volte la storia si scrive così, partendo oltre le retrovie, ben dietro, per un colpo di fortuna iniziale: è la storia del piemontese Lorenzo Sonego, talento nascosto sino all’anno scorso del tennis italiano, che a Vienna ha distrutto Djokovic in 68 minuti di gioco, entrando nella Hall of Fame del tennis azzurro, sesto di tutti i tempi a battere un number one (l’ultimo in ordine cronologico è stato Fognini con Murray a Roma nel 2017, poi Barazzutti su Nastase 1974, Panatta due volte con Connors 1975 e 77, Pozzi su Agassi 2000 e Volandri sempre a Roma su Re Federer nel 2007). Eppure il ragazzone italiano non era neppure riuscito ad entrare nel tabellone principale, perdendo nell’ultimo turno delle qualificazioni dallo sloveno Bedene. Poi però è entrato come lucky loser, forte anche del numero 42 in classifica, non proprio un pettorale da peones, ed ha infilzato tre avversari di fila, Lajovic, Hurkacz e appunto Djokovic, senza ancora perdere un set. Peraltro il serbo numero 1 del mondo, nel 2020 aveva sinora praticamente perso sul campo una sola partita, contro Nadal al Roland Garros (la squalifica agli Us Open è sì sconfitta ma “a tavolino”), quindi si presentava da grande favorito sul carpet indoor di Vienna, come del resto si presenta in qualsiasi altro tabellone. Ma non c’è stata partita. Sia perché Sonego, concentratissimo e assai determinato, non ha praticamente sbagliato nulla, servendo bene, scambiando da fondo con profondità e velocità, sia perché Djokovic è parso stanco, arrivando spesso in ritardo sulla pallina, con un timing a volte da principiante, che gli ha fatto commettere una serie incredibile di errori non forzati. Lo score di 6/2 6/1 in favore dell’azzurro la dice lunga sul poco equilibrio in campo. Sonego è stato anche molto intelligente perchè, vista l’oggettiva difficoltà fisica del suo illustre avversario, lo ha martoriato con le palle corte, lo ha fatto muovere il più possibile, e la risposta di diritto vincente sul match point è una perla, una ciliegina sulla torta della partita della vita. Evidentemente gli ultimi ottimi risultati sulla terra (storico ottavo di finale al Roland Garros 2020, poi nel 2019 il primo torneo vinto in carriera ad Antalja, i quarti a Montecarlo e la semifinale a Kitzbuhel) hanno dato grande fiducia ad un tennista che non è un predestinato come Sinner o Musetti, ma che appartiene più alla schiera dei Cecchinato e dei Berrettini, dei giocatori che hanno sudato sette camicie per arrivare in alto. Male che vada questa semifinale lo porterà nei primi 36 giocatori al mondo. Poi c’è sempre da giocare il penultimo atto del torneo, contro Dimitrov o Evans; sarà dura ma a questo punto, tra entusiasmo, bravura e fortuna, tutto può accadere.

Andrea Curti