La finale persa dall’Italia alla United Cup (con Berrettini che batte
Ruud, la Trevisan che sconfigge la Sakkari, la Bronzetti che è una
sicurezza), il titolo di Hobart sfuggito per poco alla Cocciaretto, la
prima volta di tre italiani nelle prime venti teste di serie degli
Australian Open: tutti elementi che lasciavano presagire che a
Melbourne ci potesse essere altra cuccagna azzurra. E invece alla
seconda settimana non è arrivato nessuno, anche se bisogna fare un
distinguo. Partendo dal maschile, bene o male Sinner ha fatto il suo
approdando agli ottavi di finale, sia pur faticando; poi però di
fronte ad un giocatore di tocco, con più braccio e forse anche più
esperienza, si è lasciato fregare sul più bello, cioè al quinto set.
Quella di Sinner è una evoluzione (o pseudo-evoluzione) strana perché
il ragazzo, partito come sparapalle umano, si ritrova oggi a fare
palle corte, ad approcciare la rete con più insistenza, e ad essere
meno incisivo nel palleggio. La prima versione di Sinner lo portò a
battere Tsitsipas a Roma nel 2020, la seconda invece (che avrebbe
dovuto dargli più bagaglio tecnico e di esperienza nel circuito
maggiore) lo ha fatto in parte fallire. C’è da chiedersi se sia il
caso di costruire un giocatore in maniera diversa da quelle che sono
le sue caratteristiche, la sua indole. Anche perché poi vengono fuori
tutti i suoi limiti, come è accaduto con Berrettini. Il romano, tutto
servizio e diritto, fatica tantissimo a trovare il bandolo della
matassa quando uno di quei due colpi non lo assiste, e gli avversari
(che oggi lo conoscono di più) lo martellano sul rovescio, da sempre
il suo tallone d’Achille. Santopadre, il suo coach, sta provando
(almeno sulle superfici veloci) a fargli giocare il back piuttosto
della presa bimane anche per permettere al suo assistito di riprendere
campo più in fretta, vista l’importante prestanza fisica- A quanto
pare, però, per restare ad alti livelli ciò non basta. Cos’altro si
può fare per rimettere in piedi l’ex finalista di Wimbledon 2021
(speriamo non resti il suo culmine) non sta certo a noi scoprirlo, di
sicuro perdere con il Murray del 2023 brucia di più rispetto a Sinner.
Brucia, anzi arde anche la sconfitta di Musetti contro il redivivo
Harrys, perché proprio Musetti tra i tre italiani nei primi venti del
mondo, è quello avere più mezzi tecnici, più soluzioni tecniche per
imporsi. Avremmo poi preferito non dare una simbolica pacca sulla
spalla a Sonego, che per poco non batte Hurkacz (era avanti due set a
uno), ma festeggiare la sua vittoria. Però il polpo torinese, contro
chiunque giochi, che sia il numero 200 o il 10, esce dal campo sempre
zuppo di sudore, e questo in parte ripaga dell’amarezza. Fognini poi
pare stia facendo il giro dei saluti, quest’anno almeno in singolare
sembra proprio un commiato; speriamo in qualche acuto sulla terra che
gli dia lustro. In campo femminile, è arrivata al terzo turno solo la
Giorgi ma poi, quando la marchigiana ha incontrato la prima seria
avversaria, la svizzera Bencic, ha lottato per un set prima (ahinoi
anche lei) di ritornare a casa. Insomma, da questo Australian Open il
tennis italiano esce con le ossa rotte; sia in campo maschile che in
campo femminile, manca quel salto di qualità che potrebbe portare
qualche nostro alfiere a lottare almeno per le prime cinque posizioni
della classifica mondiale. Non chiediamo la Luna, la leadership del
ranking appare francamente troppo.

ANDREA CURTI 
Andrea Curti