Mentre tutti osannano Sinner, Musetti, Berrettini e compagnia bella, anzi bellissima, in molti in Federazione si sono dimenticati di Marco Cecchinato. Eppure se oggi esiste una valanga azzurra (dieci italiani nella top-100) molto lo si deve a quella sua cavalcata quasi trionfale al Roland Garros 2018, 41 anni dopo Barazzutti, ultimo italiano ad arrivare ad una semifinale Slam. E poi altri due successi nel circuito (prima di Parigi vinse a Budapest da lucky-loser), a Umago e Buenos Aires, e un numero 16 nella graduatoria mondiale che ha fatto da traino per tutto il movimento. Ha dato convinzione a tutta una serie di ragazzi (Caruso, Mager, anche Sonego e tanti altri) che la meta del successo era a portata di mano, che si poteva fare, che scalare la classifica non era un fatto ad appannaggio di pochi eletti. Il “Ceck” ha aperto la strada e oggi quella stessa strada gli è stata chiusa, anche dagli organizzatori del Foro Italico, che lo hanno costretto a giocare le qualificazioni per una classifica di pochi posti inferiori a Mager, che ha usufruito di una wild-card. Certo, Cecchinato sceso al numero 100 finora non ha giocato challenger, non è andato a cercare punti facili, ma la sua programmazione giustamente ha previsto i tornei di portata maggiore e ciò lo ha portato ad imbattersi in giocatori più forti di lui e, nonostante ciò, ha battuto Koepfer (50 del mondo), Harris (51), Tiafoe (74) e Gerasimov (78), perdendo al terzo set per una inezia contro Humbert (32), Bautista Agut (11) e Norrie (49). Gli manca il guizzo, questo è vero, soprattutto nei game di risposta, ma andava aiutato. Il criterio della classifica maschera ingratitudine verso il tennista siciliano. Che merita palcoscenici e classifica migliori. Perché in principio fu Cecchinato.

Andrea Curti