Se dall’inizio dell’anno il numero uno del mondo ha già perso 5 partite su 16 (quasi 1/3) ci sarà un perché: le 37 primavere? Il logorio fisico e psicologico? L’avanzata delle nuove leve nel normale ricambio generazionale della vita? Fate vobis. Fatto sta che il serbo Djokovic le ha prese di brutto dal cileno Tabilo, uno che nell’ultimo anno ha fatto un salto di qualità quasi incredibile, passando da otto anni di lacrime e sangue dei challenger, dal numero 103 nel 2013 (sceso oltre il 150) all’attuale 32 (82 ad inizio 2024). L’anno scorso il 26enne, nato a Toronto in Canada, si è portato a casa quattro titoli nei challenger (Brasilia, Guayaquil, Kalsruhe, Francavilla) e una finale (Florianopolis) ma il vero balzo lo ha fatto da inizio 2024 quando, partendo dalle qualificazione, ha sbancato il 250 di Auckland, ha perso la finale al 250 di Santiago e la semifinale al 250 di Bucarest, oltre alla vittoria al challenger 175 di Aix en Provence. Insomma, il ragazzo proviene da una gavetta formativa non indifferente ed è senz’altro un ottimo esponente della scuola cilena che vanta in passato recente un numero 1 del mondo (per sei settimane senza mai vincere uno Slam), mancino come lui, l’antipaticissimo Rios, e un numero 9, quel Massu che nel 2004 ad Atene vinse l’oro olimpico in singolare e doppio (da allora l’accoppiata non è riuscita a nessuno). Contro Djokovic da una parte Tabilo è stato impeccabile, non consentendo al campione serbo di rientrare in partita, dall’altra Djokovic non aveva così tanta voglia (e forse la forza) di rientrare in partita: 68 minuti di dominio sudamericano tra ace e vincenti, di diritto e col rovescio bimane, anche buone discese sotto rete e qualche palla corta, mentre il numero 1 del mondo ha subito la verve tecnica del cilena sbagliando spesso e volentieri, lasciandosi andare. Il Roland Garros è dietro l’angolo ma l’impressione è che Djokovic punti alle Olimpiadi e alla Coppa Davis con la Serbia. E poi arrivederci e grazie.

Andrea Curti